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Concorrenza in sanità: perché mai dovrebbe funzionare?

di Livio Garattini * e Alessandro Nobili *

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24 Esclusivo per Sanità24

Secondo la teoria economica la concorrenza di mercato dovrebbe contribuire a aumentare l’efficienza, migliorare la qualità e stimolare l'innovazione. Promuovere la concorrenza con l'obiettivo di aumentare l'efficienza e migliorare la qualità dei sistemi sanitari è stato il mantra degli ultimi trent’anni in molte parti d’Europa. I sostenitori di questa teoria ritengono che la concorrenza possa comunque avere effetti positivi, a prescindere dalle imperfezioni del mercato sanitario. Infatti, in assenza dello spettro del fallimento aziendale, i dirigenti pubblici possono continuare a esercitare la propria professione in modo del tutto inefficiente e alla lunga le pressioni politiche diventano il principio ispiratore dei loro comportamenti. Questo ragionamento è alla base di tutti i tentativi di introdurre delle situazioni artificiali di "quasi mercato" nel settore pubblico.
La prima riforma pionieristica, ispirata da questa teoria fu introdotta nei primi anni ‘90 col cosiddetto mercato interno nel NHS inglese, il sistema sanitario pubblico più conosciuto al mondo. Questo spostamento verso un sistema orientato al mercato, potenzialmente inclusivo di fornitori privati, è stato spesso definito una "americanizzazione" del NHS, vista la netta prevalenza di operatori privati che rende il sistema sanitario americano del tutto peculiare fra i Paesi più sviluppati. Le esperienze successive in altri Paesi Europei occidentali si sono concentrate soprattutto sulla concorrenza fra ospedali, che rappresentano la quota più elevata della spesa sanitaria complessiva, attraverso l’adozione di sistemi tariffari per il finanziamento dei ricoveri; non a caso, quasi dappertutto con tariffe derivate dall'esperienza americana dei Drg. Nell'ultimo decennio la perdurante austerità economica, unitamente a una popolazione sempre più anziana, hanno messo sotto pressione anche i sistemi sanitari dei Paesi più ricchi, risollevando il dibattito sulle reali relazioni fra concorrenza e efficienza.
Nella teoria economica la sanità può essere considerata un esempio tipico di fallimento del mercato, dal lato sia della domanda sia dell'offerta. Sotto il profilo della domanda, i pazienti non possono essere considerati normali consumatori di beni e servizi, non essendo per definizione competenti in medicina; inoltre, la malattia li rende molto vulnerabili, quindi poco razionali e spesso soggetti a "ricatti finanziari" in materia di cure. Il gap di conoscenze dei pazienti in sanità è colmato prevalentemente dai medici, i quali sono al servizio dei pazienti e rispondono del loro operato alle autorità sanitarie, così rendendo i pazienti poco responsabili per i costi indotti dalle proprie malattie. Questa assenza di responsabilità finanziaria può indurre comportamenti discutibili non solo fra i pazienti, ma anche fra i medici stessi.
Dal lato dell'offerta, la concorrenza richiede per definizione un certo numero di concorrenti che offrono lo stesso tipo di servizio e operano in condizioni simili senza incorrere in comportamenti collusivi. Limitandoci ai servizi ospedalieri, queste condizioni sono raramente soddisfatte, specialmente laddove gli ospedali sono isolati come nelle aree rurali, ma anche in quelle urbane con più ospedali. In questo caso è assai probabile che l’ospedalità privata si concentri sui servizi maggiormente remunerativi, mentre a quelli pubblici venga comunque richiesto di erogare tutti i servizi ritenuti essenziali. Ciò può indurre comportamenti opportunistici nei fornitori privati, quali la concentrazione sui trattamenti più remunerativi e/o meno costosi.
La concorrenza di mercato in sanità non è quindi giustificata dalla teoria economica e ha richiesto una forte spinta ideologica fin dal primissimo tentativo inglese, assai probabilmente ispirato da obiettivi politici ostili ai servizi pubblici. Una revisione recente della letteratura europea sulla concorrenza tra ospedali pubblici e privati ha confermato tutto quanto già evidenziato negli studi precedenti. Gli ospedali pubblici sono risultati complessivamente più efficaci, trattando più pazienti anziani e fragili con livelli più elevati di comorbilità e complicanze, mentre gli ospedali privati si concentrano sui pazienti meno gravi e complessi. Non a caso, in Europa la maggior parte dei servizi di pronto soccorso, molto costosi perché fruibili a ogni ora, sono tuttora collocati negli ospedali pubblici. In generale, le tariffe possono assai difficilmente tenere conto di tutte le differenze di costo correlate alle condizioni specifiche di ogni singolo paziente e gli ospedali privati tendono (logicamente) a privilegiare quelle per loro più convenienti. Il finanziamento a prestazione tende anche a minare il coordinamento e indebolire le sinergie fra presidi ospedalieri. Quindi, le potenziali distorsioni derivanti dall’adozione di un sistema tariffario richiedono una regolamentazione rigorosa e un controllo sistematico delle prestazioni erogate, generando costi amministrativi assai elevati. A partire dai costi per acquisire informazioni sui fornitori e i loro servizi, proseguendo coi costi per negoziare i contratti e monitorarli, terminando con quelli legali da sostenere in caso di illeciti e controversie coi fornitori. Non deve quindi affatto stupire che gli Stati Uniti spendano molti più soldi delle altre nazioni sviluppate in costi amministrativi in sanità, una delle cause principali della loro spesa sanitaria stellare.
L'esperienza europea sulla concorrenza nei servizi ospedalieri può essere considerata fallimentare, come prevedibile. La concorrenza è solo uno strumento, non di per se stessa un fine, e procedere in questa direzione appare una scelta assai discutibile. In generale, la concorrenza non è lo strumento adatto per affrontare i problemi di equità in sanità. La salute è prioritaria nella gerarchia dei bisogni umani e le malattie una minaccia alla dignità delle persone; quindi, nelle società avanzate la sanità non dovrebbe essere assoggettata alle regole di mercato. Tuttavia, dalla teoria alla pratica sarebbe utopistico ipotizzare un sistema sanitario in cui i pazienti ricchi non godono di alcun vantaggio rispetto a quelli poveri, come del resto accade in qualsiasi altro settore, e i sistemi sanitari privati sono sorti proprio per permettere ai primi di scegliere le cure a proprie spese. I servizi sanitari pubblici e privati possono comunque coesistere, ma separatamente. Seguendo questa logica, anche qualsiasi forma di doppia attività (pubblica e privata) dei medici dovrebbe essere vietata per prevenire conflitti di interesse.
In questa logica, risulta difficile negare che in una prospettiva europea non si debba privilegiare un sistema sanitario pubblico. Sotto il profilo del finanziamento, è abbastanza ovvio sostenere che il settore pubblico sia il miglior ‘assicuratore’ per garantire una copertura universale, potendo limitare i propri costi amministrativi e tenere più facilmente sotto controllo la spesa totale. La scelta a favore della fornitura pubblica risulta invero assai meno ovvia. Nonostante le numerose evidenze di comportamenti opportunistici da parte dei fornitori privati (specialmente quelli a fini di lucro), è comunque irrealistico disconoscere che la fornitura pubblica è soggetta a influenze politiche a tutti i livelli. Ad esempio, la maggior parte degli sforzi per rendere le reti ospedaliere pubbliche più razionali è spesso fallita principalmente a causa di forzature sindacali e resistenze politiche, sfociando in riconversioni assai discutibili. La grande sfida del futuro è proprio quella di limitare queste "cattive influenze" e gestire in modo più efficiente l’erogazione dei servizi sanitari pubblici, rafforzando le competenze organizzative interne per la pianificazione e il controllo. Piuttosto che prezzi e concorrenza, la pianificazione e il budgeting dovrebbero essere la giusta cultura da importare dal settore privato per gestire i servizi sanitari pubblici. Una volta esplicitati i livelli essenziali di cura che i sistemi sanitari devono garantire, è facile immaginare che la maggioranza dei pazienti preferirebbe utilizzare i servizi più vicini alle località in cui vivono; servizi da erogare più logicamente attraverso relazioni collaborative, e non concorrenziali, all’interno dei sistemi sanitari. La grande sfida del futuro è proprio quella di sviluppare gli strumenti più adatti per limitare la tradizionale burocrazia tipica del settore pubblico, indirizzando la ricerca futura su come stimolare la qualità dei servizi sanitari pubblici.

* Istituto Mario Negri Irccs


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