Aziende e regioni

Cure di comunità, assistenza integrata possibile solo con un "modello orizzontale"

di Livio Garattini *, Michela Bozzetto *, Alessandro Nobili *

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24 Esclusivo per Sanità24

L’idea di assistenza integrata (AI), oggi comunemente adottata in tutto il mondo, mira a superare l’attuale frammentazione dei servizi offerti dai sistemi sanitari. Il tentativo di combinare efficacemente l’operato di diversi attori è encomiabile e va sicuramente a tutto vantaggio dei pazienti, in particolare degli anziani affetti da patologie sia fisiche che cognitive, i cui numeri e bisogni rappresentano oggi la sfida principale per i sistemi sanitari dei paesi sviluppati. In effetti, una AI completa dovrebbe includere tutti i servizi sanitari e sociali, superando i confini organizzativi e, di conseguenza, lo squilibrio ancora oggi esistente nella catena di fornitura fra la richiesta di servizi per pazienti cronici e l’offerta di servizi dedicati alla cura dei pazienti acuti.
Alla stregua di ogni altra filiera di approvvigionamento, la AI può configurarsi come orizzontale o verticale. L’integrazione orizzontale si verifica quando la AI si applica ai servizi erogati a un medesimo livello organizzativo (ad esempio servizi ospedalieri), mentre quella verticale avviene quando vengono combinati servizi offerti a diversi livelli (ad esempio servizi ospedalieri e servizi territoriali). A sua volta, l’integrazione verticale può avvenire "a valle" (l’assistenza ai pazienti acuti con l’assistenza ai post-acuti) o "a monte" (i servizi di comunità con quelli ospedalieri per pazienti acuti).
Per sua stessa natura, il modello Beveridge (a cui si ispirano il Nhs inglese e il Ssn italiano) dovrebbe essere più incline alla AI rispetto al modello Bismark basato sull’assicurazione sanitaria obbligatoria (alla base dei servizi sanitari tedesco e francese). Infatti, i sistemi sanitari di tipo Bismark comprendono al loro interno molti più attori rispetto a quelli di tipo Beveridge. In generale, quando gli incentivi finanziari di specifici attori si scontrano con gli interventi di AI, è davvero molto difficile arrivare a una condivisione degli obiettivi fra tutte le parti in causa, in quanto i propri interessi finanziari rimangono quasi sempre la principale preoccupazione di ciascun attore coinvolto.
Fatta questa premessa teorica, ci troviamo un po’ disorientati di fronte al dibattito in corso nel Nhs inglese, in cui si ipotizza di supportare un modello verticale nel quale i medici di medicina generale vengono inseriti nei presidi ospedalieri come "soggetti economici operanti a valle". Più che portare il paziente al centro del sistema, la motivazione reale dei casi recenti di integrazione verticale in Inghilterra è stata quella di salvare dei gruppi di medicina generale sull’orlo del fallimento. Fra l’altro, è noto a tutti che gli ospedali sono più protetti dal loro impatto economico rilevante in situazioni di crisi finanziaria, mentre i servizi di comunità sono inevitabilmente più penalizzati. L’impiego dei medici di famiglia negli ospedali potrebbe anche indebolire il loro ruolo cruciale di "guardiani" chiamati a filtrare eventuali procedure costose e superflue prescritte nelle cure specialistiche. Inoltre, va ricordato che la maggior parte delle (comunque discutibili) evidenze positive legate a questo modello verticale provengono dagli Stati Uniti, il Paese più ricco con il sistema sanitario più disgregato del mondo; non a caso definito in letteratura "modello americano", è caratterizzato in modo evidente dalla presenza dominante di assicurazioni private per il finanziamento, erogatori privati per la fornitura dei servizi e, come risultato indiretto, costi amministrativi esorbitanti.
Il nodo cruciale che determina la debolezza dei servizi di comunità nel Nhs inglese è la frammentazione dell’offerta dei servizi socio-sanitari, aggravata in questa fase dal tradizionale isolamento dei medici di famiglia, sottoposti a un ulteriore stress organizzativo dalla scarsità di fondi destinati ai servizi sociali erogati al di fuori del Nhs in un momento storico caratterizzato dal progressivo aumento della popolazione anziana. In generale, questo è il problema principale di tutti i sistemi sanitari europei e il Ssn italiano rappresenta un esempio emblematico di mancanza di integrazione orizzontale nelle cure di comunità, che ha rivelato tutti i suoi limiti durante la pandemia dovuta a Covid-19. Oltre al fatto che la maggior parte dei medici di famiglia lavorano in modo isolato in Italia, molti servizi sanitari e amministrativi vengono forniti in modo sparso e disomogeneo durante la settimana a livello locale (ad esempio, vaccini per i bambini e screening di massa per determinate malattie).
Anche se a nostro avviso è giunta l’ora di cambiare lo status lavorativo del tutto anacronistico dei medici di medicina generale nei servizi sanitari europei, siamo altresì convinti che questo cambiamento radicale non sia di per sé sufficiente a ripristinare un’organizzazione razionale dell’assistenza di comunità. Piuttosto, siamo fermamente convinti che la priorità principale sia quella di riunire tutti i servizi sanitari e amministrativi in centri di una certa dimensione, aperti quotidianamente almeno dodici ore nei giorni feriali. In virtù di questo consolidamento radicale, la co-abitazione dei diversi operatori sanitari, sociali e amministrativi in organizzazioni di una certa dimensione dovrebbe permettere anche di eliminare gran parte delle sovrapposizioni amministrative, migliorare la gestione dei servizi fuori orario e la fornitura di assistenza domiciliare diretta per i pazienti che non sono in grado di muoversi autonomamente, soprattutto quelli più anziani e fragili privi di parenti. Inoltre, la collocazione comune dei colleghi di lavoro dovrebbe facilitare la comunicazione e la collaborazione fra operatori di varie professionalità, migliorare il lavoro di squadra e, in prospettiva, permettere di sfruttare al meglio gli strumenti tecnologici moderni di informazione e comunicazione come la telemedicina. In ultima analisi, lo sviluppo di competenze tecnologiche nell’ambito di queste organizzazioni dovrebbe aiutare i medici a recuperare del tempo da dedicare ai pazienti (sempre e comunque la loro attività premiante), così riducendo anche i loro sintomi da burnout professionale.
Siamo pertanto convinti che il modello d’integrazione orizzontale dell’assistenza sanitaria rappresenti un’opzione migliore dal punto di vista organizzativo rispetto al modello verticale con gli ospedali. Idealmente, i modelli di tipo Beveridge del futuro dovrebbero comprendere anche l’assistenza sociale per avvicinarsi sempre più a un’assistenza sanitaria pienamente integrata. In questa prospettiva, il modello verticale potrebbe adattarsi di più ai presidi ospedalieri con i centri di assistenza post acuzie a valle, al fine di coordinare meglio il follow-up dei pazienti fragili o non autosufficienti dopo la loro dimissione.
In generale, ponendo la salute dei pazienti come interesse primario dei servizi sanitari, l’organizzazione del futuro dovrebbe ispirarsi a una cultura di collaborazione e coordinamento fra centri sanitari e sociali, in competizione solo per la qualità dei servizi forniti ai pazienti, ma non per i finanziamenti ricevuti. Questo approccio dovrebbe rendere più probabile la possibilità che la AI raggiunga il suo ‘quadruplo obiettivo’ di migliorare la vita lavorativa degli operatori sanitari. In un siffatto scenario, la vera sfida da affrontare sarà quella di limitare l’ingerenza politica e la burocrazia amministrativa, le minacce più gravi per il buon funzionamento di qualsiasi settore pubblico, sorta di "elefanti nella stanza" da rimuovere nei futuri servizi sanitari pubblici di tutta Europa.

* Centro Studi di Politica e Programmazione socio sanitaria - Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, Milano


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