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Sardegna: costi alti e rette ferme, le Comunità terapeutiche rischiano di scomparire

di Davide Madeddu

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24 Esclusivo per Sanità24

Le rette sono ferme al 2012 e le comunità terapeutiche della Sardegna lanciano un appello alle istituzioni per evitare la chiusura. Il tutto per evitare che quelle ancora presenti, seguano le altre che hanno deciso, causa risorse ridotte, di chiudere i servizi. Per questo motivo le coordinamento che riunisce le principali realtà del settore, composto da Mondo X-Sardegna, L’Aquilone, La Crucca, Casa Emmaus, Madonna del Rosario, Arcobaleno, Centro di accoglienza Don Vito Sguotti e Dianova ha deciso di inviare una lettera aperta manifesto alla Regione. «Dopo numerose richieste presentate alle istituzioni – si legge nel documento – i presidenti denunciano che le rette giornaliere ferme dal 2012 non permettono più la cura dei pazienti e la gestione del personale. Senza soluzioni immediate tutte le strutture saranno costrette a chiudere entro pochi mesi». A sentire i rappresentanti dei sodalizi che da anni sono impegnati in diversi settori, le rette sono ferme alle somme di dieci anni fa, ossia a cifre che vanno dai 65 ai 68 euro al giorno, a seconda del percorso riabilitativo.
«All’interno delle strutture accreditate vengono accolte persone, inviate dal servizio pubblico, con problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti, da alcolismo, da gioco d’azzardo, detenuti in misure alternative - si legge ancora nella lettera -. Nella maggior parte dei casi, abbiamo a che fare con pazienti che hanno disturbi mentali o forte rischio di emarginazione sociale».
Non solo. I rappresentanti delle Comunità sottolineano che «centinaia di assistiti che dai prossimi mesi rischiano di non avrebbero più un luogo sicuro e protetto dove curarsi e rientrerebbero quindi nei loro territori, con un grande rischio sia per le famiglie che per i comuni di residenza». E poi i dati relativi alle strutture che, come rimarcano i rappresentanti hanno la funzione di trasformarsi in una sorta di «contenitore sociale», «In 35 anni di attività, le comunità sarde hanno accolto e curato oltre 30.000 pazienti, supportando nel contempo le loro famiglie e i servizi sociali dei territori e dando lavoro a più di 600 persone in tutto il territorio regionale».
Senza poi dimenticare un passaggio che le organizzazioni tengono a ribadire. Ossia quello, in caso di chiusura, relativo all’aumento della spesa pubblica, perché «le prestazioni sanitarie non più fornite nella Regione Sardegna, verrebbero contrattualizzate alle strutture accreditate di altre regioni, con costi molto più elevati e con gravi ritardi nell’inserimento, in quanto le strutture delle altre regioni assegnano priorità agli ingressi dai propri territori».
Al coordinamento la solidarietà delle organizzazioni di volontariato e del terzo settore.


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