Aziende e regioni

La Sanità pubblica e il Terzo settore grandi assenti nel progetto di riforma fiscale

di Roberto Caselli

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24 Esclusivo per Sanità24

È troppo presto per esprimere un giudizio complessivo sul progetto di riforma fiscale appena approvato dal Consiglio dei ministri, anche se la prima impressione è che alcuni principi basilari della nostra Costituzione siano stati ignorati, come pure gli insegnamenti della Scienza delle Finanze e le esperienze negative maturate in altri Paesi.
Sarà comunque opportuno, non per fare una critica preventiva, ma per ricordare quali sono le aspettative per tutto il settore no profit, prendere atto che certi problemi, che stanno a cuore ai nostri lettori, non sono stati assolutamente toccati.
Gli enti non commerciali, le amministrazioni pubbliche e in particolare le aziende del Ssn e il Terzo settore non vengono mai indicati in questo progetto come destinatari di novità, come se il loro trattamento fiscale, fino a oggi oppressivo, non riguardasse tutti i cittadini e in particolare quelli più fragili, cioè quelli che non hanno la possibilità di rivolgersi alle strutture della sanità privata e che magari hanno bisogno del supporto di qualche organizzazione di promozione sociale o di volontariato.
Non è certamente colpa di questo Governo, da poco insediato, se il trattamento fiscale di questi settori è così pesante ed ingiustificato, aggravato da un atteggiamento dell’Agenzia delle Entrate che, nei casi dubbi di una legislazione farraginosa, privilegia spesso le interpretazioni più sfavorevoli nei confronti di soggetti che non perseguono fini di lucro, ma di utilità sociale, in linea cioè con il dettato costituzionale.
Dopo la riforma fiscale promossa nel 1971 dal ministro delle Finanze Bruno Visentini ed entrata in vigore dal 1 gennaio 1974, con una serie di testi unici fra di loro ben coordinati , scritti in modo chiaro, in linea con la Costituzione e che aveva costituito una netta sterzata nel marasma tributario fino ad allora esistente, che favoriva nei fatti una facile evasione delle imposte dirette e di quelle indirette (per non parlare del giro di mazzette che permetteva, ai soggetti più forti, di sistemare qualsiasi pendenza), la legislazione fiscale è da allora progressivamente degenerata, con Governi di vario colore, politici o tecnici, con continue modifiche, integrazioni, abrogazioni, fino a diventare una giungla inestricabile; peraltro già abbiamo assistito, fino dagli anni ’90, a deviazioni dal dettato costituzionale : la prima che si ricorda è la cedolare secca sui dividendi azionari, poi in tempi più recenti quella sugli affitti ed i regimi forfettari.
La palma della peggiore legge fiscale dell’ultimo quarto di secolo, si potrebbe dare, a parere di chi scrive, al Dlgs 447/97 istitutiva dell’Irap, che colpisce non solo il settore privato (imprese, professionisti, terzo settore) , ma anche quello pubblico (amministrazioni locali, aziende del Ssn). È una legge nata male, i cui presupposti sono stati sempre difficili da definire, che ha subito coinvolto la Giustizia tributaria, Cassazione compresa, per stabilire chi fossero i lavoratori autonomi soggetti dell’imposta; negli anni successivi il carico fiscale è man mano diminuito sul settore privato ( riducendo l’aliquota ed aumentando le deduzioni dalla base imponibile), ma rimasto invariato a carico degli enti non commerciali, Aziende del Ssn comprese.
In questo settore, con un’aliquota, più che doppia rispetto al settore privato, non è mai diminuito il carico fiscale, anzi, proprio nell’agosto scorso, con il Governo tecnico ancora in carica, è stata abrogata anche una deduzione della base imponibile, negata fin dall’inizio dall’ Agenzia delle Entrate e riconosciuta dal 2017 dalla Corte di Cassazione (v. "La cancellazione della deduzione dei contributi Inail" ), portando così al livello massimo il carico stesso.
Ci si aspettava da questo Governo, considerate le promesse di alleggerire la pressione fiscale e semplificare gli adempimenti che si cominciasse proprio dall’abrogazione o quantomeno da una profonda revisione dell’Irap, ed in particolare da quella che, con il metodo retributivo, colpisce il settore pubblico e parallelamente il terzo settore.
È un controsenso che tutti gli enti pubblici debbano contribuire con una imposta dell’8,5% calcolata sulle retribuzioni erogate ai loro dipendenti, quando a loro volta devono essere finanziati per svolgere la loro attività da fondi pubblici. È una enorme partita di giro che non ha un senso logico: si gonfiano da una parte le entrate dell’Erario, mentre dall’altra si deve sostenere un’attività istituzionale di cui beneficiano tutti i cittadini.
Ma non è una "partita di giro" a costo zero per il sistema Paese, anzi… I numerosi adempimenti a carico dei soggetti di imposta, distoglie da compiti più utili alla collettività migliaia di dipendenti pubblici; il costo del contenzioso dovuto ad una legge farraginosa e la lunga attesa per ottenere rimborsi di imposte non dovute, toglie risorse che sarebbero destinate all’attività istituzionale a favore dei cittadini.
Il Governo ha deciso la graduale abolizione dell’imposta, cominciando però da quei soggetti che in passato avevano ottenuto riduzioni o esenzioni e ignorando il settore pubblico e il terzo settore, linea peraltro già tracciata dal recente Governo tecnico (v. " Ddl Bilancio. Le Aziende del Ssn escluse dal taglio dell’Ires ").
Nessun politico, nessun economista, nessun esperto fiscale ha mai spiegato perché, per contribuire al gettito dell’Irap e finanziare così la Sanità pubblica, anche le aziende del Ssn che ne fanno parte debbano pagare loro stesse questa imposta, in misura ben maggiore rispetto al settore privato. Con una semplice abrogazione dell’imposta ed una corrispondente riduzione dei finanziamenti , avremmo una semplificazione straordinaria, a costo zero, liberando risorse umane per compiti legati a finalità istituzionali.
Colpisce inoltre l’annunciata riduzione dell’aliquota Ires, legandola ad assunzioni e investimenti, ignorando completamente il fatto che la sospensione temporanea di quella che il Presidente Mattarella aveva definito la "tassa sulla bontà" sta ancora aspettando la sua conferma. Ci riferiamo alla Legge di stabilità del 2019, con cui venne abrogata, con effetto dal 1 gennaio 2019, la riduzione al 50% dell’aliquota Ires prevista dal Dpr 601/73 per una serie di soggetti che svolgono attività di rilevante interesse pubblico, sia pubblici, come le Aziende del Ssn, sia privati, come gli enti del Terzo settore. Questa abrogazione venne definita, dal Presidente Mattarella, nel messaggio di fine d’anno 2018, come l’istituzione di una "tassa sulla bontà", auspicando un immediato passo indietro.
L’appello fu accolto dal Governo gialloverde che, con il decreto semplificazioni, inserì nella Legge di stabilità 2019 (L. 30 dicembre 2018, N. 145), nell’art.1, il comma 52, che rinviava l’applicazione dell’abrogazione a decorrere dal periodo di imposta di prima applicazione del regime agevolativo di cui al successivo comma 52 bis , il quale prevedeva che "con successivi provvedimenti legislativi saranno individuate misure di favore, compatibili con il diritto dell'Unione Europea, nei confronti dei soggetti che svolgono con modalità non commerciali attività che realizzano finalità sociali nel rispetto dei principi di solidarietà e sussidiarietà. Sarà assicurato il necessario coordinamento con le disposizioni di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 ( Codice del Terzo settore)".
Ebbene; sono passati ormai oltre 4 anni, ma neanche in questo progetto di riforma c’è un accenno alle agevolazioni, di cui è attesa la conferma sia per la sanità pubblica sia per il terzo settore (Vedi servizio del 14 Maggio 2020. L’abrogazione della tassa sulla bontà ancora sospesa).
Fra l’altro, mentre le aziende ospedaliere beneficiano a pieno titolo della riduzione del 50% dell’aliquota , le aziende territoriali si vedono ancora negare dall’Agenzia delle Entrate lo stesso beneficio, per fortuna riconosciuto sporadicamente da qualche Corte di Giustizia illuminata (v. "Aliquota agevolala Ires: una sentenza di secondo grado apre al riconoscimento sull’intero imponibile" ) e sia pure parzialmente dalla Corte di Cassazione.
Nel frattempo, mentre in questi ultimi due anni l’epidemia Covid e la crisi energetica ha fatto salire esponenzialmente i costi di esercizio delle Aziende del Ssn, l’ultima Legge di bilancio ha operato ulteriori tagli ai finanziamenti del Servizio sanitario nazionale. È di questi giorni la notizia, che costituisce un esempio non isolato, che le Aziende toscane hanno avuto nel 2022 un incremento dei costi energetici, rispetto al 2021, del 145 %.
Nessun cenno inoltre all’imposta fabbricati, basata su rendite teoriche, originate da un sistema catastale vetusto, che non si vuole aggiornare, nonostante permetta a tanti soggetti di mantenere certi privilegi, e che grava in particolare sulla sanità pubblica, che si vede tassare gli immobili utilizzati per la loro attività istituzionale, che risultano di loro proprietà in quanto, con l’aziendalizzazione del Ssn avvenuta nel 1992, i Comuni avevano loro trasferito la proprietà per responsabilizzare le aziende stesse alla loro gestione e manutenzione. Purtroppo il legislatore, deliberando questi trasferimenti, aveva sancito l’esenzione dalle imposte indirette per le spese di trasferimento, non per quelle dirette (come l’imposta fabbricati), imposta che non grava sulle imprese commerciali, comprese naturalmente le Case di cura private, creando così una sperequazione inaccettabile, che nessun Governo degli ultimi 30 anni e nessuna Commissione tributaria, né la Costituzione, l’abbia ritenuta un "vulnus" della Costituzione, in quanto lede il principio della capacità contributiva, che non dovrebbe configurarsi per immobili trasferiti senza un corrispettivo, e quello del diritto dei cittadini a non vedersi limitato il diritto alla cure per imposte, a parere di chi scrive, senza una base giuridica.
Gli interventi più importanti che si potrebbero programmare in questa legislatura sono ricordati nel servizio "Un appello al nuovo Governo per l’utilizzo dello strumento fiscale in favore della sanità pubblica" .
In conclusione, si può considerare positiva l’intenzione, nel quadro di una revisione delle detrazioni e delle deduzioni ora in vigore, il mantenimento della detrazione delle spese sanitarie, sia per un principio etico, sia perché il contrario scatenerebbe, al di fuori delle strutture pubbliche, un’evasione diffusa; attenzione però: se venisse rapportata al reddito complessivo e la detrazione non dovesse essere in misura fissa (ora al 19%) questo rischio sussisterebbe. A proposito di deduzioni dall’imponibile, pensando ai problemi delle associazioni di promozione sociale, del volontariato, delle organizzazioni non governative, e del terzo settore in generale, dobbiamo essere vigili affinché quelle per le erogazioni liberali venga non solo mantenuta, ma che sia sganciata dal reddito dei donatori.


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