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Ospedali psichiatrici giudiziari: «Sei mesi per voltare pagina». Intervista al commissario Corleone e i nuovi dati su Opg e Rems

di Lucilla Vazza

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24 Esclusivo per Sanità24

Esclusiva. Si scrive Opg, si legge manicomi giudiziari. Una pagina oscura, nel libro triste della storia penitenziaria del nostro Paese, ma che è destinata a chiudere per sempre. Per definire le ultime situazioni pendenti, è arrivata nelle scorse settimane la nomina del commissario unico per il superamento degli Opg, Franco Corleone . Dell’ex sottosegretario alla Giustizia e attuale Garante per i diritti dei detenuti della Toscana, colpisce la pacatezza, unita alla determinazione, con cui racconta la situazione attuale e i prossimi passi da compiere. Nel segno dell’umanità, che in questo ambito è tutt’altro che scontata.

Dottor Corleone, a un anno dalla chiusura ufficiale degli Opg, c’è stato bisogno di arrivare al commissariamento...
È un passaggio importante. Difficile, ma che si può portare a compimento. Nei vecchi Opg sono rimaste 97 persone. Da dicembre è stato chiuso Secondigliano (Reparto Verde), mentre a Firenze è stato svuotato il reparto femminile. Numeri che possiamo gestire. Ben lontani dalla vergognosa situazione fotografata dalla Relazione choc del 2011, curata da Ignazio Marino e che fece indignare tutti, compreso il Presidente della Repubblica Napolitano.

Le Regioni hanno fatto muro contro questo commissariamento...
È stata solo la prima reazione. Ci stiamo parlando, le Regioni hanno nel commissario un alleato che può aiutare a sistemare le situazioni, anche dove vi fossero i comuni di traverso. Gli Opg sono reperti di orrore archeologico, istituzioni fuori della storia. E su questo siamo tutti d’accordo.

Quali saranno i prossimi passi?
C’è un calendario. La prossima chiusura sarà l’Opg di Reggio Emilia, dove sono rimasti 6 pazienti-detenuti. In Veneto stiamo lavorando con la Rems di Nogara, dove c’è un sindaco molto motivato a costruire un vero progetto di reinserimento. Poi via via tutte le altre: Piemonte, Veneto, Toscana, Abruzzo. A breve faremo un primo punto della situazione con il Governo e le Regioni. Perché sono state costruite Rems provvisorie, ognuna con una propria gestione eun proprio regolamento. La situazione è in evoluzione, c’è da lavorare. È un capitolo nuovo, tutto da costruire. Ma è chiaro che con le Rems non devono risorgere i manicomi.

Il rischio è proprio questo: Rems come mini-manicomi, più nuovi, più puliti...
Lo spirito della legge 81 è chiaro: bisogna deistituzionalizzare, la Rems è l’ultima ratio, bisogna avere progetti personalizzati per ogni persona. Su questo abbiamo avviato una riflessione con il Csm, un tavolo, ma è un processo culturale e il confronto non sarà né facile né breve. Ognuno deve fare la propria parte, inclusa la magistratura. Le Rems non possono essere un sitema a porte girevoli, da cui si entra e si esce. Siamo in una fase nuova che impone anche nuove forme di monitoraggio. Per alcune persone, ripeto, bastano i servizi territoriali, non devono entrare provvisoriamente nelle Rems per poi uscire dopo poco. Non è questo lo spirito della legge 81. E questo deve essere chiaro ai giudici. Le persone tuttora negli Opg troveranno via via posto nelle Rems, ma abbiamo un’altra emergenza da gestire. Ci sono 114 persone a cui è riconosciuta l’infermità mentale, ma che non hanno trovato posto nelle Rems. Sono a piede libero, perché non c’è modo di eseguire le misure alternative alla pena e non possono entrare in carcere.

E chi ha priorità di entrare nelle Rems: i 97 ex Opg o i 114 “vaganti”?
È uno dei nodi da sciogliere. Parliamo di persone e non di corpi da collocare qua o là. Bisogna valutare ogni situazione. Con spirito di umanità e grande collaborazione interistituzionale. Per questo sollecito un provvedimento che affronti questa criticità e in generale il capitolo Rems. La legge 81 è il secondo pilastro della riforma Basaglia. Ci sono voluti quasi 40 anni e ora bisogna agire (bene!) nell’interesse di tutti.

Lei parla di scrivere una pagina nuova, dove finalmente la salute mentale e la detenzione possano “fare ponti” e non muri.
Sì, e ribadisco il no alla contenzione e ad altre forme di sopraffazione e coercizione dei malati. Ma per cambiare le cose bisogna coinvolgere il personale che lavora nelle Rems. Dev’essere motivato e formato. E, naturalmente, ascoltato nelle istanze, nelle difficoltà che legittimamente esprime.


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