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Ospedali: migliora la qualità delle cure a Sud, ma Campania e Abruzzo affondano. Ecco il Pne 2016

di Lucilla Vazza ed Ernesto Diffidenti

Contrordine: la qualità delle cure negli ospedali italiani migliora di anno in anno. E anche il Sud, la pecora nera della salute del Belpaese, dà segnali di miglioramento. Ma non dappertutto, anzi. Campania e Abruzzo, in particolare, sono di gran lunga le ultime della classe e addirittura in alcuni casi peggiorano. Mentre avanzano verso la media nazionale Basilicata, Sardegna e Sicilia. Ma con la casa di cura Villa Cinzia di Napoli che esegue fino al 91% di parti con taglio cesareo (primario), mentre in Lombardia l'ospedale di Carate Brianza le esegue solo per il 5,4%. O ancora gli interventi entro 2 giorni al collo del femore (caso molto frequente per gli anziani): appena nell'1,11% dei casi avviene al Rummo di Benevento, al 97,4% invece all'Irccs Galeazzi di Milano. Due mondi opposti.

La sfida di far convergere verso la qualità top è del resto quella che vuole svolgere il «Programma nazionale esiti» (Pne) dell'edizione 2016 appena messa a punto e consultabile on line sul sito di Agenas. Un programma che non vuole fare alcuna classifica tra strutture, è la parola d'ordine. Ma aiutare regioni e ospedali a confrontarsi in un benchmark continuo e cogliere le opportunità e i modi di crescita. Anche perché per i manager la bontà delle cure sarà presto ragione di conferma o di bocciatura nelle loro poltrone. «La qualità diffusa delle cure è la nostra sfida», conferma Luca Coletto, presidente di quell'Agenas che cura il Pne e che anzi in questa edizione lo ha arricchito notevolmente. «È adesso anche uno strumento capace di comunicare e di dare a tutti i cittadini la possibilità di poter accedere al sito e di consultare scientificamente dati validati», precisa il direttore generale di Agenas, Francesco Bevere. L'accesso degli italiani, assolutamente libero, consentirà di consultare preziose informazioni su sette aree di ciascun ospedale e di poter scegliere e valutare le strutture. A partire dalla frequenza di dei casi trattati: più sono, maggiore è in genere il successo degli interventi. Per i tumori al polmone ad esempio, la scelta delle strutture con valori-soglia elevati, eviterebbero 184 morti l'anno, consentirebbero di “risparmiare” 184 vite in più.

L'edizione 2016 del Pne, sui dati aggiornati al 2015, analizza 165 indicatori: 66 di esito, 70 volumi di attività e 29 indicatori di ospedalizzazione. Fermo restando che Pne evidenzia come in tutto il Paese i presìdi con più alto volume di prestazioni esprimono una maggiore qualità.

La novità «Treemap»: 7 indicatori per ogni ospedale
La novità di Esiti 2016 è “Treemap”, un sistema di valutazione “agile” a disposizione dei professionisti su sette aree cliniche per ogni singola azienda ospedaliera. Dove c’è criticità, c’è segnalazione e correzione tempestiva del problema rilevato dall’interno. Agenas ha sottolineato che Treemap vuole essere uno strumento di supporto anche per la governance regionale e delle aziende sanitarie che potranno individuare e monitorare le strutture ospedaliere da sottoporre a piani di efficientamento e riqualificazione. A far scattaare l’allarme la presenza di almeno un'area clinica con una valutazione molto bassa con un peso specifico superiore al 15%, oppure se la valutazione bassa corrispondente al 33% dell'attività complessiva di una determinata area.

Prestazioni sotto la lente: frattura collo del femore
La tempestività nel trattamento della frattura del collo del femore, tramite intervento chirurgico, risulta cruciale nel paziente anziano poiché riduce il rischio di mortalità e di disabilità. In particolare Pne analizza la capacità delle strutture sanitarie di intervenire chirurgicamente entro 2 giorni per i pazienti di età superiore ai 65 anni. In questi anni i dati del Programma nazionale esiti sono stati sempre più incoraggianti, dimostrando che è possibile ottenere buoni risultati anche in diversi contesti geografici.A livello regionale, assumendo come valore di riferimento lo standard minimo del 60%, emergono i forti ritardi di Molise, Campania e Calabria che oscillano intorno al 30% ma anche dell'Abruzzo che sfiora il 40%.
Nel periodo 2010-2015 la proporzione di fratture operate entro due giorni è passata dal 31% al 55%, restando ancora al di sotto dello standard internazionale atteso, superiore all'80%.
Si stima che negli ultimi 5 anni siano circa 80mila i pazienti che hanno beneficiato dell'intervento tempestivo, di cui 28mila nell'ultimo anno. Oltre a un evidente beneficio di salute questo risultato si associa anche ad un vantaggio in termini di risorse impiegate con più di 670mila giornate di degenza risparmiate, di cui 200mila nel 2015. Il miglioramento non è avvenuto a discapito dei tempi di attesa per frattura di tibia e perone che si attestano su una mediana di 4 giorni, con valori massimi che scendono dagli 11 giorni del 2013 ai 9 giorni del 2015.

In Campania ancora troppi parti cesarei
Rimangono, invece, ancora molte criticità per quanto riguarda il ricorso ai parti cesarei primari, che pur diminuendo, presenta ancora livelli molto alti in alcune regioni, in particolare in Campania.
Il parto cesareo rispetto a quello vaginale comporta maggiori rischi per la donna e per il bambino e dovrebbe essere effettuato solo in caso di indicazioni specifiche. Fin dal 1985, l'Oms afferma che una porzione di cesarei superiore al 15% non è giustificata. Lo stesso Regolamento per la definizione degli standard (Decreto ministeriale n. 70, 2 aprile 2015) fissa al 25% la quota massima di cesarei primari per le maternità con più di 1000 parti e 15% per le maternità con meno di 1000 parti. Ebbene, questa soglia è stata raggiunta nel 2015 (era del 29% nel 2010) con grandi differenze, tuttavia, anche all'interno delle singole regioni con valori per struttura ospedaliera che variano da un minimo del 5% a un massimo del 93%. Ma anche con forti differenze tra Nord e Sud.
Il Programma esiti stima che negli ultimi 5 anni siano stati circa 45mila le donne alle quali è stato risparmiato un taglio cesareo primario, di cui 12mila nel 2015.

Angioplastiche salvavita: Campania sotto la media
L'angioplastica primaria è un intervento di provata efficacia nel ridurre la mortalità per infarto acuto del miocardio. Secondo le ultime rilevazioni pubblicate dal Programma esiti la mortalità a 30 giorni dal ricovero continua a diminuire passando dal 10,4% del 2010 al 9% del 2015. «A fronte di un valore nazionale medio del 9% - osserva il dossier esiti – si osserva una bassa variabilità interregionale e una discreta variabilità intra regionale, con valori per struttura ospedaliera che variano da un minimo dell'1,3% a un massimo del 25%”.
Anche in questo trattamento spicca il trend negativo delle regioni del Sud, con il picco della Campania che supera il 20%».

Infarto miocardico acuto: Molise più alta mortalità a 30 giorni
La mortalità a 30 giorni dal ricovero per infarto acuto del miocardio continua a diminuire, dal 10,4% del 2010 al 9,0% del 2015. A fronte di un valore nazionale medio del 9,0%, si osserva una bassa variabilità interregionale ed una discreta variabilità intra regionale, con valori per struttura ospedaliera che variano da un minimo dell' 1,3% a un massimo del 25%. Il Molise registra i peggiori risultati.

Correlazione tra volumi di attività ed esito delle cure
I volumi di attività rappresentano una delle caratteristiche misurabili di processo che possono avere un rilevante impatto sull'efficacia degli interventi e sull'esito delle cure.
L'associazione tra volume ed esiti, dimostrata in letteratura e dalle evidenze scientifiche, è confermata anche dalla analisi dei dati nazionali analizzati dal Pne.
Entrando nel dettaglio delle diverse attività analizzate, per ciò che riguarda le Breast Unit, le linee guida internazionali identificano standard di qualità che per quanto riguarda gli interventi chirurgici, individuano una soglia minima di 150 interventi chirurgici annui per tumore della mammella, soglia che è stata definita anche nel regolamento del ministero della Salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell'assistenza ospedaliera. Nel 2015, in Italia, delle 449 strutture ospedaliere che eseguono più di 10 interventi chirurgici per il tumore della mammella, solo 123 (27%) presentano volumi di attività superiore a 150 interventi annui.
In tema di volumi di parti ed esiti di salute materno-infantile, le evidenze scientifiche evidenziano un'associazione tra bassi volumi ed esiti sfavorevoli. Il regolamento del ministero della Salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell'assistenza ospedaliera rimanda all'accordo Stato Regioni che, già nel 2010, prevedeva la chiusura delle maternità con meno di 500 parti.
Escludendo le strutture con meno di 10 parti annui, nel 2015 in Italia le strutture ospedaliere con meno di 500 parti annui sono 118 (24%), in diminuzione rispetto al 2010 (155 maternità con meno di 500 parti annui).


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