Dal governo

Pne 2016, indicatori a confronto. A Sud cure in ripresa

di Lucilla Vazza

Anche se c’è ancora (ahimè, soprattutto a Sud) una sanità dove si fanno parti cesarei inappropriati, i tempi per essere operati per una frattura al femore sono troppo lunghi o l’appendicectomia in laparoscopia è ancora “un lusso” e stenta ad affermarsi, nel complesso il sistema delle cure made in Italy resta un fiore all’occhiello.

Fermo restando che dove si sbaglia, si spende di più e si cura di meno, con danno evidente per tutti. Regione per Regione, struttura per struttura, chi “sale” e chi “scende” ce lo dice anche quest’anno il Programma nazionale Esiti. Tra indicatori nuovi e “vecchie” emergenze, l’Agenas passa al setaccio il Ssn. E mette a fuoco chi fa più a meno, dove sono le migliori valutazioni e dove le peggiori, con un Sud che pur nelle difficoltà guadagna il passo.

Anche se l’Agenas non smette di sottolineare che l’obiettivo non è fare liste di buoni e di cattivi, ma fornire uno strumento operativo di lavoro, una bussola per le governance regionali e delle aziende sanitarie. Per decidere meglio come e dove intervenire. Le regioni che registrano le peggiori valutazioni sono Abruzzo, Campania e Liguria. Dove ancora molto si deve fare sia in termini di efficientamento e di appropriatezza. La Lombardia si conferma al top. Aumentano gli indicatori da 146 a 158 (60 di esito/processo, 69 volumi di attività e 29 indicatori di ospedalizzazione) con un incremento particolare nell'area ortopedica, pediatrica e angiologica e si rafforzano gli strumenti di audit per la verifica dei dati.

Treemap. La grande novità degli Esiti 2016 è “Treemap”, la valutazione sintetica di sette aree cliniche per ogni singola azienda ospedaliera.

I risultati. Perché valutare è importante? Perché per esempio, garantire un intervento chirurgico tempestivo entro due giorni per la frattura del collo del femore ai soggetti fragili sopra i 65 anni è un evidente beneficio di salute. Inoltre l’intervento chirurgico entro due giorni rappresenta anche un vantaggio in termini di risorse impiegate. Negli ultimi 5 anni sono circa 80mila i pazienti che hanno beneficiato di un intervento tempestivo, di cui 28mila nell’ultimo anno. Sono state più di 670mila le giornate di degenza risparmiate, di cui 200mila nel 2015.

La proporzione di interventi entro i due giorni che nel 2010 si attestava al 31%, nel 2015 è passata al 55%, crescendo del 5% anche rispetto al 2014. Per questo indicatore il regolamento del ministero della Salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell’assistenza ospedaliera ha fissato, come valore di riferimento, lo standard minimo al 60%. A livello intra e interregionale si osserva una notevole variabilità, con valori per struttura ospedaliera che vanno da un minimo dell’1% a un massimo del 97%. In ogni Regione è presente almeno una struttura che rispetta lo standard, fatta eccezione per Campania, Molise e Calabria.

In tema di nascite, il regolamento della Salute fissa al 25% la quota massima di cesarei primari per le maternità con più di 1.000 parti annui e 15% per le maternità con meno di 1.000 parti annui. Il ricorso al parto cesareo, rispetto a quello naturale, comporta maggiori rischi per la donna e per il bambino ed è richiesto solo in caso di indicazioni cliniche specifiche. I dati indicano che la proporzione di parti cesarei primari continua a scendere progressivamente dal 29% del 2010 al 25% del 2015. Negli ultimi 5 anni sono circa 45mila le donne alle quali è stato risparmiato un taglio cesareo primario, di cui 12.000 nel 2015. Rimangono ancora significative le differenze tra le Regioni del nord Italia e le Regioni del sud, con valori medi rispettivamente inferiori e superiori al 20% e che, nel caso della Campania sono stabili al 50%. Fa eccezione la Liguria, con risultati analoghi a quelli delle Regioni del Sud. Per quanto riguarda, poi, la mortalità a 30 giorni dal ricovero per infarto acuto del miocardio, i risultati del 2015 evidenziano una diminuzione che continua, dal 10,4% del 2010 al 9,0% del 2015. Risulta bassa la variabilità interregionale e discreta quella intra regionale, con valori che variano da un minimo dell’1,3% a un massimo del 25%.

Passando all’analisi degli indicatori di ospedalizzazione, utile anche come elemento di valutazione indiretta della qualità delle cure territoriali, il Pne individua le aziende sanitarie in cui viene effettuato un numero elevato di ospedalizzazioni potenzialmente evitabili in caso di una corretta presa in carico del paziente a livello territoriale. Nello specifico, grazie a questi indicatori, si rileva che nel 2015 il numero di ricoveri di alcune tipologie a rischio di inappropriatezza risulta diminuito. In dettaglio, il tasso di ospedalizzazione per broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) si è ridotto progressivamente dal 2,5‰ nel 2010 al 2,1‰ nel 2015. Si stima che nel 2015 siano circa 16.000 i pazienti a cui è stata risparmiata una ospedalizzazione potenzialmente evitabile. Diminuite anche le ospedalizzazioni per un altro intervento chirurgico a elevato rischio di inappropriatezza: l’appendicectomia. Il tasso di ospedalizzazione per questo intervento in modalità laparotomica è diminuito progressivamente nel tempo, passando dall’1,25 del 2010 allo 0,73 del 2015, a fronte di un aumento dei ricoveri per appendicectomia laparoscopica che è passata dal 0,49 al 0,63%. L’offerta di intervento di appendicectomia laparoscopica, è molto più alta nelle Regioni del Nord rispetto alle Regioni del Sud.

Il Pne dedica, inoltre, nelle sue analisi, un particolare approfondimento alla correlazione tra volumi di attività ed esito delle cure. I volumi di attività rappresentano una delle caratteristiche misurabili di processo che possono avere un rilevante impatto sull’efficacia degli interventi e sull’esito delle cure. L’associazione tra volume ed esiti, dimostrata in letteratura e dalle evidenze scientifiche, è confermata anche dalla analisi dei dati nazionali analizzati dal Pne. Per le Breast Unit la soglia minima di 150 interventi chirurgici annui per tumore della mammella. Nel 2015, in Italia, delle 449 strutture ospedaliere che eseguono più di 10 interventi chirurgici per il tumore della mammella, solo 123 (27%) presentano volumi di attività superiore a 150 interventi annui. Passando, poi, al tumore dello stomaco, 309 strutture ospedaliere eseguono più di 5 interventi chirurgici; tra queste, solo 91 strutture (29%) presentano un volume di attività superiore a 20 interventi annui.

Sempre nel 2015, 147 strutture ospedaliere in Italia eseguono più di 5 interventi chirurgici per tumore del polmone; tra queste, solo 37 strutture (25%) presentano un volume di attività superiore a 100 interventi annui.


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