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Coronavirus/ UniCattolica: il 38% degli italiani refrattari alle regole Covid

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Sono 4 su 10 gli italiani, più uomini che donne e soprattutto giovani e laureati, che faticano ad adattare i propri comportamenti alla nuova normalità dopo la pandemia da Coronvirus. Lo rivela uno studio del centro di ricerca EngageMinds-HUB dell'Università Cattolica secondo cui "le ragioni di questa difficoltà di adattamento sono soprattutto di origine psicologica". "Ben più di un terzo della popolazione italiana, il 38% per la precisione - spiega Guendalina Graffigna, docente di Psicologia dei consumi e direttore del centro di ricerca EngageMinds HUB - trova molto difficile cambiare le proprie abitudini di vita, indossando la mascherina, igienizzando le mani e rispettando il distanziamento sociale anche se in gioco c'è la tutela dalla pandemia".

La difficoltà ad adeguare le proprie abitudini alla nuova normalità imposta dalla convivenza con il nuovo coronavirus è sentita maggiormente dagli uomini (43% contro il 38% medio complessivo), soprattutto se giovani (44% nella fascia tra i 18 e i 34 anni), residenti al sud e nelle isole (42%) e con un reddito di livello medio (47%). E tra coloro che vantano un titolo di studio elevato (laurea o oltre), la quota di italiani "in difficoltà" sale al 49%.

Ma c'è di più. La ricerca dell'EngageMinds HUB ha incrociato il dato di base con altri fattori psicologici. Coloro che percepiscono un rischio di contagio da Covid-19 elevato mostrano maggiore problematicità ad adattarsi alle misure di comportamento contro la pandemia rispetto alla popolazione generale, tanto che alla domanda "Sarà molto difficile per me cambiare le mie abitudini di vita durante la Fase 3?" rispondono "abbastanza vero" o "totalmente vero" il 47% degli intervistati, precisa Graffigna.

A fare la differenza è anche il livello di coinvolgimento psicologico delle persone nella prevenzione (tecnicamente detto "patient engagement"): i ricercatori di EngageMinds HUB hanno studiato e validato scientificamente un indicatore che permette di misurare il livello di proattività e coinvolgimento delle persone nella salute e questo parametro spiega anche le differenti reazioni degli italiani alle misure di contenimento del contagio da nuovo Coronavirus. Infatti, secondo lo studio, coloro che risultano avere un alto livello di "patient engagement" percepiscono il cambiamento delle proprie abitudini di vita nel corso di questa Fase 3 come meno difficile rispetto alla popolazione generale, mentre coloro che sono in una posizione di basso coinvolgimento percepiscono più difficoltà nel cambiamento.
«Questa ultime elaborazioni, e in particolare il dato che attribuisce proprio alle persone più spaventate dal rischio di contagio una maggiore refrattarietà ad adottare comportamenti di protezione dallo stesso contagio - continua la docente - mettono in luce la complessità psicologica delle reazioni degli italiani alle prescrizioni preventive.

"Gran parte degli approcci tradizionali alla comunicazione preventiva ha puntato sull'emozione della paura quale leva principale per sensibilizzare la popolazione ad un cambio comportamentale - conclude Graffigna -. Tuttavia, come mostrato da questi dati, il processo di educazione e sensibilizzazione è molto più complesso sul piano emotivo e psicologico, soprattutto per le fasce della popolazione più giovani e culturalmente più evolute. In questo caso spaventare o assumere toni troppo punitivi e severi può generare l'effetto opposto, di chiusura e di disattenzione verso il comportamento preventivo predicato. Al contrario veicolare una comunicazione valorizzante la possibilità delle persone di diventare protagoniste nella gestione della propria salute e che coltivi il loro coinvolgimento attivo nella prevenzione, può risultare più efficace".


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