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Previdenza: l'allarme Ocse sull'Italia rilancia il tema del "debito pensionistico implicito"

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

Secondo quanto comunicato dalla Banca d'Italia, alla fine di novembre il debito pubblico era sceso a circa 2.855 miliardi di euro rispetto ai circa 2.868 miliardi di inizio mese. Il calo mensile è stato di quasi 13 miliardi di euro. Però rispetto al dato dello stesso mese dello scorso anno (2.760 miliardi di euro) il debito pubblico è cresciuto di oltre 95 miliardi. Il debito pubblico è quindi purtroppo molto elevato e da molto tempo. Tanto da fare affermare dall’Ocse che, senza correzioni, potrebbe crescere sino al 180 % del Pil nel 2040.Quello che preoccupa non è, infatti, tanto il valore assoluto ma la sua relazione rispetto al reddito nazionale che determina il rapporto in percentuale del Pil.
Il debito pubblico dell'Italia in rapporto al PIL a chiusura del 2023 è stato stimato al 139,8%. La regione italiana con maggior debito pubblico lordo è il Lazio (28,3 miliardi di euro) seguita dalla Campania (15,6). Le meno indebitate sono Valle d'Aosta, Molise e Basilicata (debito inferiore a 1 miliardo). Spiccano inoltre le azioni di risanamento dei conti pubblici operate da FVG, Emilia-Romagna e Sardegna.
C’è però un altro tipo di debito che, allo stato attuale, preoccupa ancora di più. Quello che viene definito debito pensionistico implicito. La definizione di debito pensionistico implicito è quella di valore attuale delle promesse pensionistiche future, al netto dei contributi pensionistici futuri, implicito nella legislazione corrente.
Sono evidenti le analogie tra il concetto di debito pensionistico e quello di debito pubblico. In entrambi i casi, infatti, si tratta di una promessa di pagare, in futuro, una somma garantita dallo Stato. Il concetto di debito pensionistico dovrebbe rientrare, quindi, a pieno titolo nelle discussioni relative alla politica economica e alla sostenibilità del debito statale. La rilevanza è sostenuta anche dalle autorità europee, che hanno deciso di considerare questa variabile all’interno di una più generale valutazione sulla sostenibilità dei bilanci pubblici nazionali. Va comunque detto che le promesse monetarie verso i futuri pensionati potrebbero essere considerate, in senso stretto, una forma di debito non certo. In quanto i governi, in un futuro più o meno ampio potrebbero rivedere quanto spendere per le prestazioni e quindi modificare il patto implicito fra le generazioni.
L’Italia vanta un debito pensionistico implicito elevato rispetto ad altri paesi, nonostante la riforma che ha introdotto il sistema contributivo a metà degli anni ’90, meglio definita dalla riforma “ Fornero “ del 2011. E le riforme pensionistiche sono ovviamente un modo per poter effettuare una riduzione dei benefici e della spesa.
Più che un problema di sostenibilità il nostro paese ha un problema di equità intergenerazionale e il debito pensionistico serve proprio a mettere in guardia contro interventi che, pur avendo costi limitati nell’immediato, possono nel tempo far aumentare fortemente gli oneri che gravano sulle future generazioni.
L’esempio tipico è quello delle baby pensioni, che hanno comportato costi contenuti nell’immediato per il bilancio pubblico, ma un impatto significativo sul debito implicito. Per anni sono state pagate decine di miliardi per prestazioni erogate a partire da contributi versati anche solo per 14 anni 6 mesi e un giorno! A tutt’oggi paghiamo circa 7 miliardi di euro, vale a dire circa mezzo punto di Pil, per prestazioni pensionistiche erogate con decorrenza al di sotto dei 50 anni di età.
Quando le baby pensioni vennero introdotte il loro costo fu molto contenuto, ma ci hanno, poi, lasciato questa eredità.
Il senso etico e la disponibilità alla solidarietà generazionale possono e devono comunque variare tra le diverse generazioni e non possono essere considerate immutabili. Così come appare necessario considerare il profondo legame fra lavoro e pensioni. Se cambia il primo devono cambiare anche le seconde. Non si può agire solamente sull’età, ma comprendere la base potenziale di finanziamento del sistema pensionistico. Il principio sostenuto alcuni anni addietro di “Non per cassa, ma per equità”, secondo cui chi va in pensione prima riceve una pensione più bassa, risponde a criteri di equità attuariale. Permette, infatti, di coniugare maggiore libertà di scelta su quando andare in pensione con il fatto di non fare aumentare il debito implicito.
Il futuro previdenziale è quindi un grosso problema. Una vera e propria spada di Damocle che pende sulla testa dei nostri figli e delle future generazioni. Ma di cui tutti sembrano ignorare le ricadute E non solo perché il debito implicito previdenziale, fino ad oggi, è un dato pressoché sconosciuto ai documenti di programmazione economica-finanziaria. Ma soprattutto perché, malgrado il periodo delle vacche grasse sia passato da un pezzo, la previdenza in Italia continua ad essere gestita allegramente e senza molta razionalità.


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