Imprese e mercato

Conto terzi farmaceutico, si rafforza il primato nell’Ue. Scaccabarozzi (Farmindustria): «Settore a tutto export dalla compressa al biotech»

di Rosanna Magnano

L’industria del conto terzi farmaceutico made in Italy rafforza il primato europeo con una produzione pari a 1,7 miliardi di euro, davanti a Germania (1,5) e Francia (1,4). Reimpiegando l’8% del fatturato in investimenti sulla produzione. Puntando sull’export, con il 70% della produzione destinato ai mercati esteri (i tre quarti verso Ue15 e Usa) e soprattutto su un indotto nazionale in «perfetta sintonia» di filiera. Un elemento quest’ultimo che rappresenta un deciso punto di forza del settore. È questa la fotografia scattata dallo studio Farmindustria -Prometeia sul conto terzi farmaceutico, presentata oggi a Milano.

Il Contract development and manufacturing (Cdmo) è un modello organizzativo che consnete alle imprese titolari di Aic di esternalizzare le attività produttive, di controllo e di sviluppo farmaceutico. Queste attività vengono quindi affidate ad aziende specializzate dotate di proprie officine e laboratori dedicati.

Il peso della produzione italiana è quindi sempre più importante, pari al 23% del totale Ue (pari complessivamente a 7,6 miliardi), incidenza superiore a quella del totale dell’industria manifatturiera (13% rispetto all’Ue28).

Un comparto che dal 2010 non arresta la sua fase di sviluppo con una crescita del fatturato nel periodo 2010-16 pari al 40 per cento. «Un’eccellenza manifatturiera che ha saputo diversificarsi ed evolversi passando dalle tradizionali compresse e sciroppi alle biotecnologie più avanzate - spiega Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria - un’industria di valore che finalmente sta venendo fuori, insieme con il settore farmaceutico in generale. Il Paese sta finalmente scoprendo che il farmaco non è solo un costo ma un’industria, capace di superare la Germania e primeggiare in Europa con il conto terzi. Con una battuta potrei dire conto terzo ma sono primo! E con risultati eccezionali sull’export. ».

Una crescita che ha riguardato tutti i segmenti, sia i prodotti più “tradizionali” come i non iniettabili (+31%) sia, soprattutto, quelli a maggior contenuto di tecnologia innovativa come gli iniettabili e le produzioni biologiche e ad alta attività (+48%). In salita di 11 punti percentuali rispetto al 2010 anche le esportazioni.

Strategica per rispondere in modo flessibile ed efficiente alle esigenze dei clienti la sinergia di filiera. Secondo lo studio Prometeia infatti, la catena di fornitura industriale genera 1,4 miliardi di euro di fatturato, per il 66% formato da input produttivi (soprattutto principi attivi, eccipienti, packaging primario e secondario), per il 10% da beni di investimento (macchinari) e per il 24% da servizi. Il valore complessivo della filiera ammonta quindi a 3,1 miliardi. «Operare in stretta partnership - si legge nello studio - con fornitori nazionali di eccellenza (packaging e macchine per imballaggio in primis, con imprese che sono diventate leader mondiali, il cui export supera il 90% della produzione) permette di creare valore attraverso l’interazione e la sperimentazione di nuove modalità operative, in grado di rafforzare innovazione e qualità lungo tutta la filiera, instaurando un circolo virtuoso a vantaggio di tutti gli attori che ne fanno parte».

Forti gli investimenti in digitalizzazione. Gran parte delle risorse (quasi il 70%) sono infatti finalizzzate a nuove tecnologie, quota che sale all’84% nel caso delle linee produttive, «attività che beneficiano della leadership competitiva dei fornitori italiani». E il tasso di innovazione è mediamente molto più alto rispetto alla media manifatturiera. L’80% dei macchinari e degli impianti in uso è infatti integrato o integrabile in modalità 4.0. Anche se Prometeia segnala «spazi di miglioramento per ciò che riguarda le fasi a monte e, soprattutto, a valle, della produzione e relativamente ai processi informativi/amministrativi».

Investimenti hi-tech che in ogni caso premiano, secondo Prometeia, portando benefici in termini di «produttività (31% del totale delle risposte), qualità (26%), flessibilità (23%) e velocità (12%), elementi chiave per operare nel business dei Cdmo e che sosterranno un’intensificazione degli investimenti in digitalizzazione anche nel prossimo futuro». Per migliorare ulteriormente su questo fronte, conclude lo studio, «sarà necessario che le imprese possano contare su un contesto regolamentare ancora più competitivo e che sappia cogliere a pieno le esigenze della crescita nell’era di Industria 4.0».

Rosanna Magnano

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