Imprese e mercato

Farmaci maturi: un preoccupante piano inclinato per il continuo ribasso dei prezzi

di Patrizio Armeni* e Francesco Costa**

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24 Esclusivo per Sanità24

All’inizio del 2022, su queste colonne, riflettevamo sul “prezzo dei ribassi” nel caso dei farmaci maturi. Il punto centrale di tale articolo riguardava il fatto che la ricerca del risparmio nell’ambito dei farmaci maturi, pur moralmente giustificabile e necessaria per la sostenibilità economica della spesa farmaceutica pubblica, non dovrebbe essere interpretata in modo semplicistico come ricerca del prezzo più basso possibile. Il fenomeno dei farmaci maturi si presenta, infatti, molto più complesso di quanto spesso sia stato presentato, ovvero come un ambito dove l’imperativo del risparmio è traducibile in modo concettualmente lineare attraverso semplici meccanismi applicati all’approvvigionamento in gara.

Per anni, le istituzioni responsabili del procurement dei farmaci hanno portato avanti una strategia di progressiva riduzione dei prezzi dei farmaci maturi, promuovendo, in linea con le linee guida nazionali e internazionali, la penetrazione di generici e biosimilari ma anche progressivamente abbassando i prezzi a base d’asta per forzare l’erosione dei margini di profitto e, nelle intenzioni, contenere la spesa. In diversi casi, tali strategie sono state esplicitamente dichiarate e rese pubbliche. Tuttavia, a fronte di una effettiva riduzione del costo per DDD dopo la scadenza brevettuale, questo sistema ha prodotto (e produce tuttora) effetti non previsti e, purtroppo, non ritenuti meritevoli di monitoraggio pubblico: ad esempio, è aumentato nell’ultimo decennio il quantitativo dei lotti deserti (quasi un terzo del totale nel 2020, raddoppiato rispetto al 2011), è diminuito il numero delle imprese che presentano offerte per ogni lotto (al 2021 sono 1,85, quindi in media meno di 2!). Questi dati sono riportati nel rapporto Nomisma, ma non fanno parte degli argomenti considerati dalle centrali d’acquisto o dall’AIFA nel monitorare l’andamento dei mercati dei farmaci maturi. Pertanto, in luogo di generare e preservare la competizione di mercato, le evidenze ci mostrano che la conseguenzagenerata da questa strategia per ottenere dei risparmi nel breve termineè stata quella di minare la capacità del mercato di mantenersi competitivo, affidabile e anche sostenibile nel lungo periodo (oltre che deteriorare il capitale sociale collaborativo).

L’appello a riconsiderare le modalità di istruttoria, al fine di curare maggiormente i reali obiettivi del prezzo scelto come base d’asta, è rimasto finora sostanzialmente ignorato e le modalità di acquisto hanno mantenuto la loro impostazione iniziale. Nonostante il dibattito si sia mantenuto attivo e, malgrado la progressiva diffusione di queste evidenze, l’attenzione e la programmazione pubbliche non hanno finora incorporato queste dimensioni nel proprio campo di analisi. Una prova di questa considerazione proviene, ad esempio, dalle periodica rendicontazione pubblicata da AIFA sull’utilizzo dei farmaci biosimilari, e in particolare sulle stime di risparmio potenziale https://www.aifa.gov.it/documents/20142/1804950/6_Risparmio_biosimilare_apr-2023.pdf ). In questo documento, l’Agenzia simula quattro scenari diversi di potenziale risparmio, tutti basati sulla differenza tra il prezzo pagato in ogni regione per le molecole con biosimilari disponibili e il prezzo medio (o minimo, a seconda degli scenari) pagato a livello nazionale. Il risparmio potenziale viene quindi calcolato come effetto i) del riallineamento dei prezzi verso il benchmark medio o minimo e ii) del progressivo aumento della prevalenza dei biosimilari rispetto ai propri originatori nei diversi contesti regionali.

Queste analisi rappresentano un esercizio teorico di semplice comprensione ma sono anche basate su un’assunzione implicita, ovvero che il prezzo medio o minimo rappresentino un credibile benchmark sul quale è giusto e benefico convergere, dato che sono prezzi che almeno un’impresa ha accettato di offrire (altra assunzione: l’accettabilità per un’impresa in un preciso momento equivale all’accettabilità permanente per tutto il mercato). Questa convinzione induce a ritenere che attualmente il mercato dei farmaci maturi starebbe producendo extra-profitti non giustificabili e soprattutto riappropriabili attraverso il riallineamento dei prezzi. Queste assunzioni implicite, agli occhi delle istituzioni preposte alla programmazione farmaceutica regionale e al procurement, giustificano pienamente, e persino incentivano il continuo ricorso all’abbassamento dei prezzi a base d’asta.

È, quindi, opportuno introdurre alcune riflessioni e cercare, tramite alcune evidenze, di mostrare come l’assenza di cambiamento non corrisponda ad una stasi della situazione di mercato, ma ad un moto inerziale che spinge, inevitabilmente, al suo peggioramento. Partiamo dal fatto che la variabilità del prezzo medio pagato non corrisponde necessariamente ad una generazione di profitto eccessivo da parte delle imprese. Le cause della variabilità dei prezzi risiedono, oltre che nel mix di prodotti banditi (inclusi i lotti dedicati solo agli originatori), anche nelle caratteristiche delle gare e nel quantitativo domandato, oltre che nel grado di competizione generato all’interno della gara stessa (più concorrenti partecipano e maggiore è la probabilità di ottenere il prezzo più basso compatibile con la permanenza sul mercato delle imprese). Pertanto, ipotizzare che tale variabilità possa scomparire del tutto allineando i prezzi verso il basso (e realizzando così il massimo risparmio stimato) è, da un lato, poco realistico, e dall’altro potenzialmente pericoloso per la promozione della concorrenza. Infatti, come successo purtroppo in molti casi, sempre più imprese abbandonano i prodotti che non consentono margini minimi sostenibili (non si parla neanche lontanamente di extra-profitti) a causa del continuo abbassamento dei prezzi (a fronte, in periodi come quello attuale di un consistente aumento dei costi di produzione), con il risultato che molti farmaci a brevetto scaduto sono oggi offerti da pochissime imprese, mentre la lista fornitori era ben più lunga solo pochi anni fa.

Vale la pena sottolineare che la volontà di spingere costantemente i prezzi verso il basso, a causa delle differenze di prezzi sui mercati internazionali, penalizza soprattutto le imprese che producono i loro farmaci in Italia e in generale in Europa nonché quelle che investono a vario titolo nel nostro Paese (inclusa la presenza di personale).La conseguenza di tutto questo è che le poche imprese rimaste come fornitori attivi non presentano offerte per lotti il cui prezzo a base d’asta sia troppo basso e mandano il lotto deserto (uno su tre nel 2020), costringendo così gli acquirenti ad agire in forma emergenziale, inclusa l’importazione dall’estero, con costi molto superiori rispetto a quelli programmati (costi peraltro non monitorati in modo specifico a cui andrebbe sommato l’impatto economico delle risorse sprecate per l’asta che non è andata a buon fine). Neanche questo basta, il più delle volte, e così aumentano le carenze. All’8 settembre 2023, infatti, risultano carenti 3.500 prodotti (fonte AIFA) a fronte dei 2.802 dello stesso giorno del 2022, ovvero un aumento del 25%.Il 79% dei prodotti oggi carenti sono proprio generici o biosimilari e il 55,5% delle carenze totali è dovuto alla cessata commercializzazione.

In altri termini, il piano inclinato continua: i fenomeni già descritti più di un anno fa continuano la loro dinamica e la salute del mercato dei farmaci maturi sta peggiorando, mettendo a rischio la capacità del nostro sistema di disporre di prodotti necessari a condizioni sostenibili nel tempo. La scelta del prezzo a base asta deve, quindi, rappresentare un’azione informata da buoni principi di economia e avere una prospettiva strategica, basata anche sulla conoscenza della struttura del mercato di riferimento. Ma soprattutto, questa scelta deve necessariamente avere l’obiettivo di generare una sana concorrenza e di mantenerla nel tempo, evitando che sporadici episodi di risparmio nel brevissimo termine (sempre che il lotto riceva offerte) continuino poi a tradursi in minore offerta, carenze e, in ultima analisi, costi maggiori che, siccome non sono monitorati ad-hoc, sembrano non esistere (ma ci sono, eccome).

* Associate Professor of Practice of GHNP division SDA Bocconi School of Management
Coordinator of Health Economics and HTA area - CERGAS Director of Operations – LIFT Lab
** Associate Professor of Practice of Government Health and Not for Profit - SDA Bocconi


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