In parlamento

L’Ssn è in salute, ma chiede appropriatezza. Vietato cedere ad allarmismi e a tentazioni neocentraliste

di Emanuele Vendramini (Università Cattolica del Sacro Cuore)

Il Senato ha approvato il maxi emendamento Enti Locali che contiene un insieme di norme diverse provenienti da richieste differenti tra le quali quella che riguarda le risorse a disposizione della Sanità che hanno inevitabilmente generato un certo dibattito e molte polemiche.
Questo dispositivo di legge, su cui il Governo ha posto la fiducia per lunedì prossimo, riduce le risorse disponibili per il Servizio sanitario nazionale e questo è un fatto.
Molti commentatori, molti lettori, molti stakeholder si fermano nell'analisi a questo primo livello di approfondimento prevedendo che molti esami e visite specialistiche saranno a pagamento, che i medici di famiglia non potranno prescrivere accertamenti ulteriori se non coerenti con i protocolli che usciranno tra un mese. Definirei questo atteggiamento un allarmismo da ombrellone, provo a spiegare il perché.
Lo stato di salute del Ssn è buono, lo dimostra il rapporto Oasi 2014 del Cergas Bocconi che evidenzia come i conti siano in ordine (al netto di debiti degli esercizi pregressi) e che non esistano più regioni “canaglia” come qualcuno le aveva denominate. Il Ssn è in equilibrio e ha generato un avanzo di alcune centinaia di milioni di euro negli ultimi due anni (cfr Rapporto Oasi 2014).
Quindi tutto bene? No, certo che no. Aver sfatato gli allarmismi di chi grida al dissesto dei conti della sanità certo non basta.
Complessivamente il Governo sta ridefinendo i confini o meglio il perimetro dell'azione pubblica e la riduzione delle risorse a disposizione del Ssn ne è un esempio. Quindi allora è vero che molti esami saranno a pagamento perché non ci saranno più soldi? No, certo che no. La questione deve essere messa in questi termini: ci si può lamentare che le risorse siano poche solo nel momento in cui si è sicuri che quelle risorse siano spese bene. Siamo sicuri che sia cosi? Molti fanno riferimento alle centrali di acquisto che, dicono, sono troppe (io ricordo sempre che prima di dire che sono troppe, ci dovremmo interrogare sul ruolo e sull'efficacia di Consip, unica vera centrale di acquisto) pochi invece si interrogano su come vengano consumate le risorse a disposizione: vorrebbe dire interrogarsi sul tema dell'appropriatezza.

Siamo un sistema appropriato? Dipende. Molto potrebbe essere ancora fatto per quelle prestazioni a basso valore aggiunto (molte Rx torace preoperatorie, esami di laboratorio, visite di controllo) ma anche tutti quei ricoveri ad alto rischio di inappropriatezza (broncopolmoniti, Bpco, ipertensione, affezioni mediche del dorso ecc.).
Vi è però una duplice accezione di inappropriatezza: quella clinica (non utilizzare farmaci di prima scelta o prescrivere esami diagnostici inutili), ma anche, e forse soprattutto, quella organizzativa, quella dell'ambito di cura o del setting assistenziale.
Questo secondo tipo di inappropriatezza porta a trattare i pazienti nel posto sbagliato: in ospedale invece che a domicilio, al pronto soccorso invece che nell'ambulatorio del medico di medicina generale.
Quindi la vera narrazione dovrebbe essere che la riduzione delle risorse disponibili (per altro voluta anche dalle Regioni che hanno firmato il testo) deve portare il sistema a rivedere i criteri di appropriatezza (clinica e di setting assistenziale), riducendo, non li chiamerei sprechi, ma i livelli di inappropriatezza, duplicazioni, che con i livelli di risorse attuali nessuno o meglio pochi (perchè diverse Regioni su questo tema hanno già fatto molto) avrebbero mai toccato.

Tutto bene quindi? Giusto votare questa norma? E come mai la prof.ssa Dirindin ha espresso tutte queste perplessità? No, certo che no non va tutto bene. La visione dei protocolli definiti centralmente a cui fare riferimento per incrementare l'appropriatezza, è una visione illuministica, razionale, di chi vede solo sistemi ipersemplici in cui se si fornisce un input ne deriva sempre un output ed allo stesso input corrisponde sempre lo stesso output. I protocolli non potranno mai vincolare più di tanto i comportamenti dei medici per cui esiste una autonomia professionale, un agire secondo scienza e coscienza (che non vuol dire fare quello che si vuole). Protocolli vincolanti definiti centralmente (sulla base di cosa poi?) non potranno funzionare, semplicemente perché non hanno mai funzionato e spesso quando ci sono non vengono applicati.

Come fare quindi? Lo strumento che già diverse Regioni hanno adottato, che molte aziende sanitarie hanno implementato è quello dei percorsi di patologia o Pdta, strumenti volti a garantire l'appropriata risposta, l'equità di accesso, la presa incarico della prevalenza di patologia con un coinvolgimento dei professionisti, con sistemi operativi di coordinamento e di responsabilizzazione. Solo riscoprendo la centralità delle aziende sanitarie, dei direttori generali e sanitari d'azienda, dei direttori di distretto e dei direttori di dipartimento mediante un sistema di contemporanea autonomia e responsabilizzazione si potrà grazie ai Pdta sviluppare un processo in cui ci si interroghi non tanto su quanto si spende ma come si stia spendendo.
Superando la visione, purtroppo oggi prevalente, di chi vuole riaccentrare tutto, indebolire le funzioni manageriali e pensare che si possa governare il sistema sanitario dal centro con logiche top-down. Dopotutto abbiamo un Ssn tra i migliori al mondo, abbiamo straordinari professionisti, abbiamo un solo dovere: utilizzare al meglio le risorse perché, e nessuno ne parla, abbiamo una terribile minaccia che incombe e che è legata all'esplosione della domanda derivante dal crescente numero di anziani non autosufficienti. Questo tema, quello della non autosufficienza deve e dovrà essere il vero tema di discussione, altrimenti veramente il sistema imploderà. In conclusione, non domandiamoci se spendiamo di più o di meno rispetto allo scorso anno ma interroghiamoci sulla qualità, sul valore aggiunto, sulla capacità del nostro Ssn di rispondere ai bisogni che vengono dai nostri pazienti (soprattutto i cronici e gli anziani non autosufficienti) ovviamente date le risorse a disposizione che come per tutte le organizzazioni rappresentano un vincolo esogeno che è inutile (o distraente) discutere.


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