In parlamento

Quell’appropriatezza del ministero in odor di razionamento. L’Ufficio parlamentare di Bilancio passa al setaccio il «decreto Lorenzin»

di Barbara Gobbi

S
24 Esclusivo per Sanità24

Anteprima. L’inappropriatezza esiste, eccome: su questo non ci sono dubbi. È un’inappropriatezza innanzitutto di natura organizzativa e di programmazione degli investimenti, che in Italia come all’estero portano a una diversa utilizzabilità del parco macchine a disposizione e a una preponderanza, ad esempio, di accertamenti prescritti nel Nord-Est del Paese. Ma anche i camici bianchi non sono esenti da responsabilità: pesa sulla “mala prescrizione” anche «l’ignoranza del medico», che compie scelte ad alta variabilità terriroriale, sovente pressato dal paziente. Carenze informative, caratteristiche particolari nel rapporto medico-paziente, limiti nelle conoscenze di cui è in possesso lo stesso medico per evidenze scientifiche confuse o per insufficiente formazione; fenomeni di induzione della domanda da parte dell’offerta, medicina difensiva. Questi elementi, ma soprattutto l’esigenza di applicare il Dl 78/2015 (il decreto Enti locali) hanno prodotto il decreto applicativo che da settembre scorso guasta il sonno - e l’attività negli studi - dei medici. Che con la ministra Lorenzin stanno ancora cercando di trovare il bandolo di una matassa sempre più ingarbugliata e resa confusa dal “peccato originale” del Dm: la «differenza tra condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva, ancora non convincente».

A fare il punto su una vicenda che sta condizionando non poco le relazioni tra classe medica e ministero della Salute, paralizzando l’attività negli studi malgrado le rassicurazioni più recenti sulla sospensione delle sanzioni per i dottori che non si attengano al pasticciaccio scritto nel decreto, è il Focus “L’intervento per l’appropriatezza della specialistica ambulatoriale”, curato per l’Ufficio parlamentare di Bilancio da Stefania Gabriele. Un testo in cui la ricercatrice ricorda, in più punti, i giudizi negativi espressi «sui criteri con cui è stata effettuata l’operazione e sulle sue stesse finalità - in particolare sulla commistione tra razionamento e appropriatezza - sulla logica non evidente nella selezione delle prestazioni da limitare e sulla presenza di inesattezze, sul mancato coinvolgimento dei medici nella selezione delle prestazioni e sulla scelta di fissare con decreto i comportamenti dei prescrittori». Musica, per le orecchie di una categoria che dalla circolare si sente “offesa”. Gabriele coglie nel segno infatti quando ricorda ancora l’ulteriore doppio rischio cui espone la circolare: «danneggiare il rapporto medico paziente» e cristallizzare le decisioni», pur a fronte di un avanzamento delle conoscenze che inevitabilmente e continuamente modifica la frontiera dell’appropriatezza.

E i risparmi? Non facciamoci illusioni. «Con l’incontro del 12 febbraio - ricorda ancora Stefania Gabriele nel Focus - è stato previsto che le risorse risparmiate (decisamente modeste, ndr) vengano reinvestite nel Ssn nella direzione dell’appropriatezza clinica e organizzativa: eppure i risparmi sono stati già allocati nella riduzione del deficit pubblico, in quanto servono ad assicurare quella parte della manovra dello scorso anno realizzata attraverso il Dl 78».

E il Ddl sulla responsabilità professionale legato da un filo non certo sottile al tema dell’inappriatezza prescrittiva, quando questa si spiega in termini di medicina difensiva? Anche qui le bordate non mancano: sotto la lente vanno quelle linee guida cui è stato attribuito «un ruolo che non sempre possono svolgere»: primo, perché non sempre sono disponibili evidenze scientifiche affidabili; secondo, perché la scelta di affidarle alle società scientifiche non le pone al riparo da conflitti di interesse e dalla tendenza, più in generale, a enfatizzare le prestazioni rilevanti per la propria disciplina.

I pazienti in definitiva, prima ancora dei medici, non possono dormire sonni tranquilli fintanto che non si dipanerà il bandolo di questa matassa - ministero della Salute e Fnomceo ci stanno ancora lavorando - che sullo sfondo ha il tema enorme di una appropriata (appunto) definizione delle prestazioni che vanno garantite, a tutti, in tutte le aree del Paese. Senza indurre ancora una volta l’assistito, per effetto di un razionamento esplicito o implicito cui un decreto ministeriale mal scritto può portare, a rivolgersi al privato o, peggio, a rinunciare alle cure. «Si osservi - scrive infatti chiaro e tondo Gabriele nel Focus dell’Upb - che enfatizzando l’aspetto della minimizzazione dei costi e allentando l’attenzione sul principio dell’efficacia, sostituito eventualmente da criteri basati sulla gravità della patologia da contrastare (fino ad ammettere al limite le sole prestazioni “salva vita”), si passa dal concetto di appropriatezza a quello di razionamento».


© RIPRODUZIONE RISERVATA