Lavoro e professione

Appropriatezza e Dm Lorenzin, tra buone intenzioni, diritti e Costituzione

di Ettore Jorio (Università della Calabria)

In tempi come quelli attuali, ove si rende necessario ottimizzare la spesa e generare flussi positivi da destinare al rientro del debito pubblico, ogni provvedimento in tale senso promosso dal Governo deve essere accolto con il necessario favore. Insomma tutto ciò che contribuisce a tradurre la spending review da mera aspirazione politico-comunitaria in fatti concreti deve essere salutato con i dovuti entusiasmi. Ciò è quanto dovrebbe essere riservato alla bozza di DM sulla appropriatezza prescrittiva, quantomeno sul piano ideologico.

Una ipotesi complessa, assistita da voluminosi e dettagliati allegati, sulla quale il Consiglio superiore della sanità ha già espresso il suo parere non vincolante e sul quale i medici prescrittori dovranno formulare le eventuali eccezioni. Il tutto propedeutico all'invio integrale alla Conferenza Stato-Regioni ove perfezionare la relativa intesa.
Nelle more si è scatenato l'inferno, con minacce di sciopero dei “medici di famiglia” e con prese di posizioni così allargate e differenziate da non essere neppure facilmente riconducibili a categorie ben precise. Molto velate le tesi sostenute a sostegno del “consumatore di salute”, il comune cittadino, che costituisce il vero bersaglio finale del provvedimento, atteso che ad esso saranno imputate le limitazioni di diagnosi e relativa cura appropriata, anche in termini di modifica delle pregresse condizioni di vita generative di patologia, del tipo l'impossibilità di accedere alla risonanza magnetica con il “semplice sospetto” di dolorosissime ernie discali.

Lo spessore giuridico dei limiti imposti alla prescrizione
Il problema sul quale sarebbe opportuno soffermarsi, al di là delle perplessità strettamente medico-scientifiche, è sullo spessore giuridico che caratterizzerebbe i limiti imposti alla prescrizione del medico curante e al consequenziale mancato godimento del cittadino di quanto - indipendentemente se destinato a diagnosi e/o a terapia - è ritenuto utile dal professionista fiduciario per la tutela della salute del suo assistito.

In buona sostanza, sarebbe il caso di capire - prima che si codifichi l'irreparabile fosse anche per un solo caso di “malasanità” eventualmente formatosi per difetto di esami diagnostici - fino a che punto un provvedimento amministrativo dello Stato (aggiungiamo, anche normativo), ancorché ancorato a nobili obiettivi di risanamento dell'economia pubblica, possa comprimere il diritto alla tutela della salute del cittadino, a tal punto da limitare il ricorso a prestazioni diagnostiche ritenute necessarie da quel medico che lo stesso ha individuato esercitando la libera scelta garantitagli dalla Costituzione. Un diritto, comprimibile, ove mai, con legge attesa la riserva ex art. 23 Cost., godibile attraverso l'esigibilità dei Lea - da attualizzarsi alle rinnovate esigenze sociosanitarie, dal momento che risalgono al novembre del 2001, salvo qualche ritocco - da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale.

E la prescrizione medica «in scienza e coscienza»?
Fatta questa premessa è indispensabile categorizzare i limiti imposti dalla bozza di provvedimento ministeriale, nel senso che gli stessi aspirerebbero a modificare il principio, sino a comprimerlo sensibilmente, che sta alla base della prescrizione medica, da esercitare esclusivamente secondo scienza e coscienza ma sopratutto senza impedimenti attuativi di quanto ritenuto dal prescrittore indispensabile per pervenire alla sua migliore diagnosi, propedeutica alla migliore cura. Invero, la ratio posta a base dell'ipotesi di Dm inciderebbe, in senso contrario, sul detto principio sino a sconvolgerlo radicalmente, atteso che impedirebbe l'utilizzo di quanto scientificamente prescrivibile sino ad arrivare all'imposizione di sanzioni a carico dei medici prescrittori, soggetti ad essere chiamati dalla Corte dei conti a responsabilità patrimoniale in caso di prescrizioni extra-elenco (e, quindi, inappropriate per presunzione iure et de iure), e ai beneficiari della prescrizioni, potenzialmente soggetti a imposizioni economiche corrispondenti al valore della metodologia diagnostica indebitamente goduta (sempre perché inappropriata per presunzione iure et de iure).

Le conseguenze del Dm sull’esercizio della professione medica
Una tale situazione, proprio per i riflessi negativi che avrebbe nell'esercizio delle professioni dei medici all'uopo coinvolti e nel corretto godimento delle pretese di salute dei cittadini, ingenererebbe:
a) da una parte, l'insinuazione di una sorta di terzo genus degli strumenti di indirizzo offerti ai medici curanti per determinare il loro agire professionale fondato sui criteri di ragionevolezza e scientificità largamente condivisi, da aggiungere alle linee guida e i protocolli, attraverso i quali garantire (sempre presuntivamente, questa volta iuris tantum) la buona pratica assistenziale. Quegli strumenti già esistenti posti ad indirizzo della pratica medica che si concretizzano, quanto alle linee guida, in raccomandazioni generali di comportamento clinico standardizzato, quasi delle direttive, prodotte allo scopo di fornire ai medici le migliori modalità di assistenza e, quanto ai protocolli, in uno schema predefinito di comportamenti diagnostico-terapeutico ben individuati da adottare in casi specifici nell'ambito del corrispondente esercizio professionale.
Dunque, uno strumento in più, di tipo esclusivamente contenitivo e costituente un vincolo eccessivo della condotta dell'operatore sanitario, quello desumibile dalla lettura della bozza del provvedimento, che determinerebbe tuttavia, a differenza degli altri due, una rigida indicazione di comportamenti prescrittivi, pesantemente sanzionati in difetto, dettati solo in ragione dell'obiettivo di eliminare gli attuali sprechi. Uno scopo nobile ma perseguibile attraverso una sensibile limitazione della volontà del medico curante e dei suoi credo scientifici.

b) dall'altra, una sorta di impedimento al consumo, consapevole e ragionato, di prestazioni diagnostiche soprattutto per immagini (ma non solo) - mirate ad accertare le patologie sospette - ritenute essenziali dal sistema scientifico e istituzionale sulla base della loro concreta e riconosciuta utilità. Una ingiustificata compressione dell'esigibilità dei Lea che a siffatte prestazioni fanno ineludibile e implicito riferimento, rese impraticabili solo per perseguire il contenimento della spesa sanitaria, oramai fuori controllo e non migliorabile, nelle regioni più deboli, attraverso gli inutili piani di rientro con commissariamenti al seguito.

L’urgenza di frenare una spesa sanitaria dissennata
Per altri versi, occorre fare qualcosa contro l'imperversare di una spesa sanitaria dissennata. I siti assistenziali da (ri)educare sono gli stessi nei cui confronti interviene duramente l'esaminata bozza di provvedimento ministeriale. Forse è l'ipotesi ad essere errata, con le sanzioni repressive non si arriva da nessuna parte. Meglio l'intento di trasformare la medicina di prima istanza in un veicolo più autenticamente collaborativo nel progetto del risparmio programmato.

Interessante è l'introdotto principio, favorevolmente discriminante, fondato sul criterio della vulnerabilità sanitaria e sociale, delle quali tenere debitamente conto nel concedere gratuitamente - per esempio in assistenza odontoiatrica - ciò che ad altri è impedito. Due criteri utili, di certo, per migliorare la traduzione dei costi standard in fabbisogni regionali standard più corrispondenti alle reali esigenze delle realtà geografiche più deboli.

In definitiva, il Dm appare un atto accettabile, fatte salve alcune limitazioni e sanzioni da correggere sensibilmente per garantire, anche a chi vive delle piccole fissazioni, la migliore tutela fisica e psichica, evitando soluzioni di continuità traumatiche e, spesso, non affatto idonee allo scopo dell'autorità che le impone.


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