Lavoro e professione

Dall’assistenza agli alunni alla selezione delle risorse umane: le nuove frontiere per gli psicologi

di Benedetta Pacelli

Lo psicologo medico dei pazzi. È uno dei tabù più duri a morire per la professione, non solo per l'opinione pubblica ma anche per gli addetti ai lavori. Ma solo se questo professionista capirà che deve abbandonare il lettino di freudiana memoria, potrà salvarsi da crisi e concorrenza. Se da una parte, infatti, la congiuntura economica sfavorevole e la disoccupazione vedono crescere ogni giorno la domanda di sostegno psicologico, dall'altra la recessione frena proprio le spese per questo tipo attività. Con il risultato che oggi di psicologi c'è bisogno più di ieri, ma non ci si sono soldi per pagarli. E i professionisti si stanno trasformando in un esercito di precari, sottopagati e pure sottoutilizzati rispetto alle competenze acquisite in almeno dieci anni di costosa formazione.

Alcuni numeri. Eppure la professione continua a conservare un forte appeal: nel 2013 gli psicologi iscritti all'albo superavano quota 90mila, circa uno psicologo ogni 740 abitanti e nel 2016, secondo le proiezioni fornite dal Consiglio nazionale di categoria, ce ne saranno oltre 100mila. Se a questo, poi, si aggiunge la quantità dei soggetti (oltre 80mila che nulla centrano con gli iscritti all'albo) che fanno parte di quelle associazioni raggruppate, secondo le sigle del Cnel, sotto la denominazione di «Cura psichica» o «Medicine non convenzionali» è evidente come il numero complessivo di questi soggetti sia di molto superiore alla capacità di assorbimento del mercato.

La crisi del settore. Tanto interesse e un appeal intatto riusciranno a passare attraverso la cruna dell'ago delle politiche di contenimento della spesa pubblica? Per ora no. La prima e più significativa trasformazione che investe il mercato della psicologia è, infatti, il rarefarsi della prospettiva del lavoro nel welfare pubblico. Così la professione sta andando verso una sorta di privatizzazione, che premia sì gli psicoterapeuti (quasi tutti gli psicologi lo sono), ma solo quelli davvero affermati e over 40, e obbliga a una sorta di semi-volontariato i giovani. Basti pensare che dall'anno di fondazione dell'Ordine degli psicologi (1989) al 1998 si contavano 27 mila psicologi iscritti all'albo, cioè uno psicologo ogni 2.074 italiani. Questa cifra in circa 15 anni si è praticamente triplicata e arrivando a quota 90mila, un terzo cioè di tutti gli psicologi in Europa, con una crescita annua costante di oltre l'8%. Ma la metà degli iscritti non riesce effettivamente ad esercitare la professione di psicologo: se infatti i numeri dicono che l'80% degli psicologi lavora (rispetto all'85% dei laureati totali), il Consiglio nazionale conferma che l'81% è sì occupato, ma in un lavoro qualsiasi, che il 60% esercita la libera professione ma con guadagni da fame e che per un giovane psicologo passano in media due anni e mezzo tra la laurea e l'ingresso nel mercato del lavoro.

Le prospettive. Come uscire da tutto questo? Secondo il Consiglio nazionale battendo strade meno convenzionali, uscendo dalle stanze degli studi di freudiana memoria per cavalcare nuovi ambiti di impiego: dalla psicologia applicata alla gestione delle emergenze a quella che affianca la medicina di base, fino agli psicologi nelle scuole o impiegati nelle risorse umane per scovare nuovi talenti. Questi, secondo gli addetti ai lavori, i settori su cui puntare. Un comparto in forte crescita è appunto quello della cosiddetta psicologia delle emergenze, che interviene, per esempio, sotto il coordinamento della protezione civile per fronteggiare bisogni psicosociale. C'è poi il settore della psicologia del lavoro, dell'organizzazione e delle risorse umane. Basti pensare a quanto sta accadendo attualmente in tema di valutazione dello stress lavoro correlato, un ambito che finora ha relegato il supporto psicologico ad elemento accessorio e facoltativo. E infine lo psicologo nelle scuole, o di base che aiuti chi ha bisogno di assistenza per problemi mentali e comportamentali, al fianco del medico di medicina generale. Con risparmi anche per il Servizio sanitario nazionale.


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