Lavoro e professione

Decreto Bollette/ Per i medici dell'urgenza possibile il part time: le prospettive per chi lo sceglierà

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

Nel "decreto "Bollette , approvato dal Consiglio dei ministri, sono presenti una serie di misure relative al mondo della sanità per favorirne la sua migliore attività. Soprattutto in una disciplina, quale quella della medicina d’urgenza che ha mostrato gravi crepe alla sua funzionalità e alla scelta dei professionisti futuri ed in attività, tanto da dover ricorrere alle ormai giustamente stigmatizzate prestazioni a gettone.
Fra gli interventi legislativi proposti nel decreto viene indicato, nel comma 5 dell’articolo 10 la possibilità che "Fino al 31 dicembre 2025 il personale, dipendente e convenzionato, operante nei servizi di emergenza-urgenza degli enti del Servizio sanitario nazionale in possesso dei requisiti per il pensionamento anticipato previsti dall’ordinamento vigente, può chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da impegno orario pieno a impegno orario ridotto o parziale, in deroga ai contingenti previsti dalle disposizioni vigenti, fino al raggiungimento del limite di età previsto dall’ordinamento vigente, ferma rimanendo l'autorizzazione degli enti del Servizio sanitario nazionale competenti".
Andando a verificare questa possibilità si ricade in quello che viene definito part-time. Il contratto part-time o a tempo parziale è una forma di rapporto di lavoro, prevista nel diritto del lavoro italiano, caratterizzata da un orario lavorativo ridotto rispetto a quello normale a tempo pieno. In deroga al tempo pieno, azienda e dipendente possono stipulare un contratto che preveda lo svolgimento dell’attività lavorativa per un orario ridotto (cosiddetto part time) rispetto al tempo pieno fissato dalla legge o eventualmente dal contratto collettivo applicato. A seconda della distribuzione oraria, esistono tre tipologie di tempo parziale: il part-time orizzontale si ha quando la riduzione di orario è giornaliera ed è prevista in relazione al normale orario giornaliero di lavoro; il part-time verticale quando l’attività è svolta a tempo pieno, ma limitatamente ad alcuni giorni della settimana, del mese o dell’anno; il part-time misto infine è caratterizzato da una combinazione delle due tipologie precedenti.
Ai fini previdenziali, il contratto part-time ha un’incidenza sulla misura dell’assegno di cui bisogna tenere presente, soprattutto se si sta valutando questa opzione rispetto al full-time. Infatti, lo svolgimento del tempo parziale non determina un allungamento dell’età pensionabile ma la minore contribuzione incide sull’importo della pensione.
La retribuzione percepita con il part-time è ovviamente inferiore di quella che si percepirebbe per lo stesso lavoro, svolgendolo full-time. Questo ha un ovvio impatto sull’importo della pensione futura, soprattutto per la parte calcolata con il sistema contributivo. La pensione contributiva si ottiene, infatti, moltiplicando il montante contributivo ( l’insieme dei contributi versati durante la vita lavorativa individuale per il coefficiente di trasformazione.
Diversamente, l’eventuale parte dell’assegno determinata con il sistema retributivo non viene svalutata, anche se si sceglie di svolgere gli ultimi periodi di lavoro pre-pensione in modalità part-time.
Anche nel pubblico impiego, per la determinazione delle quote retributive di pensione, si continua ad utilizzare il valore della retribuzione teoricamente prevista per il rapporto di lavoro a tempo pieno. Per quanto riguarda il raggiungimento dell’età pensionabile, nel settore privato i periodi di tempo svolti in part-time (orizzontale o verticale) vengono conteggiati al pari di quelli svolti in full-time a condizione che sia stato rispettato il minimale Inps per il lavoro dipendente (circa 205 euro settimanali), ai sensi dell’articolo 7 del Dl 463 /1983.Nel settore pubblico viene meno questo vincolo, ai sensi dell’articolo 8, comma 2, della legge n.554 del 1988, secondo il quale, ai fini dell’acquisizione del diritto alla pensione e del diritto all’indennità di fine servizio, gli anni di servizio ad orario ridotto sono da considerarsi sempre utili per intero. Precedentemente la disciplina previdenziale prevedeva che il parametro di misurazione per i periodi da riconoscere fosse la “settimana retribuita”. Il numero dei contributi settimanali per la pensione con contratto part-time era pari a quello delle settimane dell’anno retribuite, per cui non era consentito l’accredito delle settimane prive di retribuzione.
Fino al 2020 tutti coloro che avevano dei rapporti di lavoro con contratto part time verticale o ciclico non avevano la possibilità, se non tramite la presentazione di domande contestuale di versamento volontario o di riscatto oneroso, di poter maturare le 52 settimane nell'arco di un anno. Ad esempio un lavoratore con part time verticale che prestava la sua attività solo in un determinato periodo dell'anno non poteva maturare l'intera annualità in quanto l'istituto riconosceva contribuzione soltanto nei mesi nei quali veniva effettivamente prestato servizio, consentendo di colmare i buchi solo con eventuale contribuzione a suo esclusivo carico (versamenti volontari o riscatto). A partire dal 2021, con il comma 350 dell'articolo 1 della legge di Bilancio 2021, è stato riconosciuto il diritto gratuito alla contribuzione piena utile al diritto pensionistico anche nei periodi non lavorati, sempre nel rispetto del minimale contributivo.


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