Lavoro e professione

Decreto Bollette/ "Libera professione" degli infermieri, una storia che parte da lontano

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Come è noto il decreto legge 34/2023 è stato convertito in legge n. 56 del 26 maggio 2023 e su questo sito il 29 e 30 maggio ho cercato di analizzare le misure adottate dal Governo per le criticità della sanità. In particolare, nel commento rinviavo a una più approfondita analisi la questione della libera professione degli infermieri, o quello che è secondo l’art. 13. Vediamo dunque cosa comporta questa contrastatissima disposizione. In tanti hanno commentato questa norma e si è letto di tutto e il contrario di tutto. Credo che raramente una disposizione di legge possa essere stata fonte di simili controversie e, a volte, di evidenti equivoci. Una ricostruzione della norma appare indispensabile per tentare di comprendere le intenzioni del legislatore, visto che nulla è stato fatto per migliorare il testo in sede di conversione. Cominciano dall’inizio perché – contrariamente a ciò che pensa qualcuno – questa sorta di libera professione per il personale infermieristico non nasce con l’attuale Governo ma risale a più un anno e mezzo fa ed era stata oggetto di commento su questo sito nel Magazine n. 74 del 19.11.21. Anche le tortuose vicende successive sono segnaletiche di quanto la norma sia oscura e di difficile lettura.
Nel settembre 2021 viene adottato il Dl 127/2021, concernente la certificazione verde e le disposizioni applicative. In sede di conversione del decreto viene aggiunto un art. 3-quater che costituisce la base della odierna disposizione. Questo articolo è frutto dell’emendamento n. 3.0.19 presentato in Senato da Faraone e Grimani come art. 3-bis che era costituito dal primo periodo di quello che poi in Gazzetta ufficiale divenne l’art. 3-quater. La norma originaria era, dunque, più semplice e limitata al perdurare dello stato di emergenza. Il secondo comma venne aggiunto nel testo definitivo della legge 165/2021 di conversione del Dl 127 nel quale era anche presente il tetto settimanale non superiore a quattro ore. La disposizione legislativa è stata introdotta con un emendamento ad un decreto legge e, in quel momento storico della XVIII legislatura, erano giacenti in Parlamento almeno tre disegni di legge sulla libera professione delle professioni sanitarie del comparto: l’ A.S. n. 1284, Sileri, l’A.S. n. 1616, Boldrini e l’A.C. n. 2287, De Filippo. Il ricorso alla decretazione d’urgenza per una materia così complessa e innovativa desta naturalmente molte perplessità ma credo che vada vista come una forzatura nei confronti dello stallo dell’iter legislativo dei Ddl ricordati.
Con la scadenza dello stato di emergenza, gli effetti dell’art. 3-quater sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2022 dall’art. 10, comma 1 (che rinvia al punto 5 della tabella A allegata), del DL 24/2022. In vista di tale ulteriore scadenza, la legge 14/2023, di conversione del DL 198/2022 – cosiddetto “Milleproroghe 2022” -, ha provveduto a spostare il termine al 31 dicembre 2023 e, nel contempo, ha sostituito le parole «quattro ore» con «otto ore». A febbraio 2023 la situazione era, quindi, quella sopra descritta. In pochi giorni, lo scenario cambia di nuovo perché il ricordato art. 13 del DL 34 ha dapprima eliminato la scadenza e poi la ha reintrodotta. Infatti c’è da segnalare che all’entrata in Consiglio dei Ministri nel testo non era presente il limite temporale del 31 dicembre 2025, inserito unitamente al correlato monitoraggio di cui al secondo periodo del comma 1. In tutte le vicende così brevemente riassunte, il secondo comma dell’originario art. 3-quater non è mai stato toccato, tanto che qualcuno si era scordato della sua esistenza. Non si può non rilevare che in un mese la norma è cambiata per ben tre volte. Se una innovazione così importante dal novembre 2021 ad oggi viene riscritta cinque volte e, nonostante ciò, continua a non essere comprensibile, vuol dire che qualcosa proprio non torna. È un segno tangibile di quanto essa sia complessa e, probabilmente, di come venga intesa in modo non univoco da parte degli attori interessati, tra i quali senz’altro un ruolo primario lo svolge il Mef.
Va detto che fin dall’inizio la stranissima norma adottata nel 2021 è stata "letta" come parziale riconoscimento della libera professione del personale sanitario del comparto, anche se come è evidente le parole libera professione non appaiono mai, mentre, la locuzione “incarichi di cui al comma 1” nel secondo comma lascia interdetti perché nel comma 1 della parola “incarichi” non ve ne è traccia. Si sono sviluppate in questo anno e mezzo due tendenze interpretative: quella di chi vede nella norma una apertura, benché parziale, alla libera professione tout court e quella di chi ha tenuto un profilo più basso prendendo atto di una mera attenuazione dei vincoli dell’esclusività. Ambedue le tendenze contenevano però al loro interno – e hanno tuttora – evidenti riserve mentali ed elementi quasi subliminali. Per comprendere come la norma è stata applicata sul campo, si può segnalare la Dgr Veneto n. 1674 del 29.11.2021 con la quale si prevedeva la "possibilità dello svolgimento da parte del personale infermieristico delle Aziende Ulss di prestazioni a favore dei Centri di Servizi per anziani" in regime di art. 3-quater, norma che era entrata in vigore soltanto 8 giorni prima.
Riguardo alla vigente stesura dell’art. 13 dopo la conversione, sono evidenti le seguenti criticità:
-preliminarmente si deve precisare che non viene delineato un sistema assimilabile a quello dei medici e, quindi, non si tratterebbe di pervenire ad un doppio regime di rapporto di lavoro, esclusivo e non esclusivo. Per molti aspetti c’è da ritenere che quello che sarà possibile per gli infermieri somiglierà, per alcuni aspetti, alla situazione dei medici extramoenisti;
-gli estensori dell’art. 13 non hanno tenuto conto dell’esistenza di un comma 2 e manca del tutto un coordinamento tra la nuova norma di marzo 2023 con quella originaria di novembre 2021;
-la norma non è strutturale ma, con la reintroduzione di un termine finale, continua ad essere provvisoria e legata a fattori congiunturali;
-la platea dei destinatari è limitata e carente perchè esclude i dirigenti delle professioni;
-a proposito di quanto precisato nel punto precedente, c’è una evidente contraddizione tra i due commi perché nel primo si afferma “al personale del comparto sanità” mentre, nel secondo, si precisa che in ogni caso “non trovano applicazione gli articoli 15-quater e 15-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502”; queste due ultime norme – come indica chiaramente la rubrica - riguardano la dirigenza sanitaria per cui che senso ha sancire la non applicazione di norme che comunque non sono di pertinenza del comparto ?
-la mancata espressa e inequivocabile previsione della possibilità di svolgimento di attività libero-professionale è una questione che va definita;
-il richiamo acritico all’art. 53 del d.lgs. 165/2001, il quale - si ricorda - ricomprende le fattispecie sia dell’incompatibilità che del cumulo di impieghi, comporta che:
- la deroga all’art. 4, comma 7 della legge 412/1991 è piuttosto chiara nel aprire la possibilità di avere più rapporti di lavoro con il Servizio sanitario nazionale;
- invece la deroga al principio di cui all’art. 53 deve essere circoscritta e contestualizzata perché delle 5 classiche attività vietate, quella di cui si ammette la praticabilità è solo la libera professione mentre la deroga stessa non può certamente essere diretta alle altre attività richiamate nell’art. 60 del Dpr 3/1957 e cioè “il commercio, l'industria, impieghi alle dipendenze di privati o cariche in società costituite a fine di lucro”; questo perché verrebbe apertamente violato il principio di cui all’art. 97, comma 3 della Costituzione;
- in stretta correlazione con il punto precedente, si dovrebbe dedurre – ma credo che sia francamente assurdo - che un infermiere potrà aprire una pizzeria, iniziare una attività di agriturismo, instaurare un rapporto di lavoro subordinato con una clinica privata, assumere la carica di amministratore unico di un centro estetico: quelle indicate non sono fantasie ma reali conseguenze della deroga tombale all’art. 53;
- le finalità del monitoraggio introdotto nel DL 34, che si presume siano connesse alla verifica della fattibilità della norma nel periodo temporale fino a tutto l’anno 2025. Tale monitoraggio appare, in ogni caso, difficilissimo da attuare. L’unica modifica fatta in sede di conversione è la previsione che il monitoraggio del Ministero della salute avvenga “comunque ogni due anni”, introdotta plausibilmente in considerazione di quanto sarà complicato effettuare questa operazione;
-la parola “incarichi” contenuta nel comma 2 – non modificato, come detto, dall’art. 13 del Dl 34/2023 – è completamente avulsa dal contesto della norma e rende del tutto fuorviante la ricostruzione di cosa possono o non possono fare gli infermieri e gli altri professionisti;
-in ordine a quanto si afferma nella norma al comma 2 rimasto inalterato, desta perplessità la prevista verifica sul “rispetto della normativa sull'orario di lavoro” perché, se stiamo parlando di libera professione, il datore di lavoro non è tenuto e non può effettuare alcun controllo;
- quindi, un infermiere dovrebbe poter svolgere attività libero-professionale in favore di strutture private, strutture accreditate, singoli utenti nonchè attivare un rapporto di lavoro subordinato sia con altre strutture pubbliche che private. L’attività è in ogni caso soggetta ai vincoli dell’art. 2015 cc relativo all’obbligo di fedeltà;
- la previa autorizzazione dovrebbe limitarsi esclusivamente all’assenza di pregiudizio relativo all’”obiettivo aziendale relativo allo smaltimento delle liste di attesa anche conseguenti all'emergenza pandemica”, circostanza questa ultima che era valida nel novembre 2021 ma che attualmente deve essere quantomeno riformulata;
- il regime giuridico, fiscale e previdenziale dell’attività consentita è totalmente indefinito. A mio parere, rispetto ai tre aspetti di cui sopra, dovrebbe essere chiarito:
- le prestazioni professionali autorizzate rientrano nella fattispecie di cui all’art. 2229 e segg. del cc;
- sono esercitabili previa apertura di Partita IVA, in quanto l’Agenzia delle Entrate ritiene che lo svolgimento di una professione non sia compatibile con il regime delle prestazioni occasionali;
- i contributi previdenziali sono versati alle rispettiva Cassa pensioni (Enpapi e altri).
La logica conclusione di quanto rappresentato non può che essere che l’art. 13 necessita di alcune sostanziali modifiche, qualora si intenda mantenere la morfologia della norma nei termini originari, cioè una affermazione indotta vuoto per pieno, un principio detto e non detto. A mio parere, sarebbe preferibile riscriverla da capo sciogliendo le riserve su cosa il legislatore intende realmente concedere a infermieri e tecnici sanitari, evitando di scrivere norme a sottrazione. Oltre ad una dovuta chiarezza nei confronti di centinaia di migliaia di professionisti che da anni non capiscono cosa possono o non possono fare, segnalo che il testo attualmente vigente – con tutte le discrasie e i disallineamenti sottolineati - genererà una indubbia difficoltà applicativa da parte degli uffici del personale aziendali che tra “autorizzazioni”, “attestazioni”, e “monitoraggio” ricorreranno probabilmente a comportamenti di “amministrazione difensiva” che esaspereranno ancor di più la platea degli interessati e non forniranno certamente un esempio concreto di certezza del diritto.


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