Lavoro e professione

Mancano medici o infermieri? Ricetta per non ripetere gli errori del passato

di Mario Del Vecchio * e Francesco Longo *

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24 Esclusivo per Sanità24

In Italia lavorano circa 244.000 medici: il 44% è dipendente del Ssn, il 34% è convenzionato con il Ssn (es. Mmg), il 12% è nel privato accreditato dal Ssn. La densità medica italiana (4,1 medici per 1.000 abitanti) è una delle più alte tra i paesi EU, significativamente maggiore di quella di UK e Francia (rispettivamente 3 e 3,3 medici per 1.000 abitanti). Rimaniamo invece drammaticamente lontani dagli altri paesi in termini di rapporto infermieri per medico. Nel Ssn operano 1,42 infermieri per medico vs i 2.7 della Germania, 2,8 del Regno Unito, 3,3 della Francia.
Perché abbiamo invece la sensazione che mancano i medici?
La quantità di medici necessari in un sistema sanitario dipende da tre fattori chiave: a) l’allocazione di ruoli e funzioni tra medici e altre professioni sanitarie; b) il mix tra personale e tecnologie, spesso regolato da standard procedurali (es. quanti medici devono essere presenti per una procedura diagnostica); c) il mix di patologie prevalenti. Da più di 20 anni le "professioni sanitarie" (infermieri, riabilitatori, tecnici della diagnostica, ecc.) prevedono la laurea, ma il Ssn non ha ancora riconosciuto formalmente il loro livello di autonomia professionale, mantenendo invariato il numero di medici necessari al sistema. Il Ssn è dotato di tecnologie oltre la media EU, ma non ha diminuito gli standard di personale obbligatoriamente presente, anche se le macchine contribuiscono a innalzare significativamente la "produttività del lavoro". In altre parole, è cambiato il modo di fare medicina, ma non abbiamo ancora aggiornato gli standard regolatori e le funzioni che vengono svolte nei paesi più sviluppati da professioni sanitarie in Italia, per legge, devono vedere la presenza e la responsabilità formale di un medico. L’Italia è uno dei paesi più anziano del mondo (ultra 65 sono il doppio degli under 15, ovvero il 25% della popolazione), quindi prevalgono patologie croniche e fragilità, che richiedono poche e puntuali prestazioni cliniche e lunghe stagioni assistenziali, che necessitano più infermieri e operatori socio-sanitari e meno medici. Mancando questi ultimi o non riconoscendone il ruolo, ingaggiamo impropriamente i medici.
Abbiamo aumentato le borse di studio nelle scuole di specializzazione medica da 7.500 posti annui nel 2008 a 14.000 nel 2023, mentre i pensionamenti attesi di specialisti nel decennio 22-31 sono al massimo 10.000 all’anno (5.000 dal Ssn). Quindi, tra pochi anni, torneremo ad avere una espansione del numero dei medici presenti. All’opposto i posti universitari per infermieri vanno deserti, perché mancano le vocazioni. Inoltre, tra i pochi iscritti, solo il 75% riesce a finire gli studi. Quindi pensioniamo più infermieri di quante ne formiamo (14.000). Mancano 60.000 infermieri rispetto ai bisogni. Nel complesso andiamo nella direzione opposta al necessario: ancora più medici e ancora meno infermieri. Fake news (mancano i medici) hanno prodotto una programmazione sbagliata.
È vero che alcune e limitate discipline mediche (tra le 55 specializzazioni presenti nel Ssn) hanno carenze di vocazioni: emergenza/urgenza, cure primarie, laboratorio analisi. Le vere determinanti sono ancora una volta i modelli organizzativi e di servizio e non le politiche di reclutamento. Se al pronto soccorso l’80% dei pazienti sono codici bianchi e verdi, ovvero situazioni semplici e senza emergenze, il contesto professionale risulta demotivante per un giovane che ha studiato 11 anni medicina, di cui 5 medicina d’urgenza. La soluzione non è da ricercarsi prevalentemente nelle politiche retributive dei medici di Ps, ma nel separare i pazienti leggeri da quelli gravi, lasciando solo i secondi al lavoro del medico specializzato in emergenza/urgenza, rendendo il contesto professionale interessante e coerente alle competenze sviluppate.
Cosa servirebbe fare?
Rifondare l’immagine delle professioni sanitarie tra i giovani con una robusta campagna informativa multimediale, spiegando che le professioni sanitarie sono 23, altamente qualificate, con sicurezze occupazionali assolute e ruoli professionali di grande interesse. Modificare profondamente i modelli di servizio e organizzativi e le regole sui mix di personale che deve essere impiegato durante le procedure, limitando l’impiego di medici a quando è davvero necessario superando antichi retaggi burocratici di presenza e firma formale. Aggiornare i numeri della programmazione universitaria, visto che rischiamo di generare una nuova pletora medica, mentre mancano gli infermieri. Difficile?

* Cergas/Sda Bocconi


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