Lavoro e professione

Gettonisti nel Ssn: così si viola il principio di legittimo affidamento dell’utenza

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

La quinta sezione del Tar Lombardia, con l’ordinanza n. 238/2024 depositata l’8 marzo scorso (est. Plantamura), sollecita una maggiore attenzione sul tema dei medici gettonisti, così come su tutti i contratti di outsourcing cui si ricorre, da tempo e ovunque, sistematicamente nel sistema della salute per sopperire ad esigenze medico-infermieristiche (si veda qui articolo dell’8 marzo scorso).
Il Giudice meneghino si è pronunciato sospendendo, in via cautelare, la delibera adottata dalla Giunta Regionale lombarda n. XII/1514 del 13 dicembre 2023, “limitatamente alle parti in cui si dispone che non siano ulteriormente autorizzati nuovi contratti di esternalizzazione di servizi sanitari core”. Conseguentemente, ha fissato “per la trattazione di merito del ricorso l’udienza pubblica del 24 ottobre 2024”.
Il processo amministrativo è stato incardinato su ricorso di una società per azioni denominata GAP MED Società tra professionisti S.P.A., che ha fondato il proprio business sulla somministrazione dei medici a gettone.
Il mercato dei gettoni d’oro e le alternative
Il tema del costante ricorso, con maggiore frequenza nell’attività erogativa dei Lea ospedalieri, a professionisti medici estranei agli organici aziendali - ovviamente non ancora affrontato nell’ordinanza del Tar se non limitatamente alla riconosciuta esistenza del fumus boni iuris nelle ragioni della ricorrente, oltre che ravvisato il periculum in mora prospettato (sull’esistenza dei quali si rende legittimo qualche sospetto – richiede un serio approfondimento. Ciò in quanto l’appello all’esternalizzazione effettuata attraverso medici a gettone è oramai acquisito nel linguaggio comune e nell’uso diffuso che se ne fa - considerate le carenze professionali ritenute (forse superficialmente) non altrimenti rimediabili - senza tuttavia ben circoscrivere e comprendere in quale situazione si siano da tempo imbarcate, si spera inconsapevolmente, tutte le Regioni e relativo Ssr.
La situazione venutasi a creare - del corrente ricorso che si fa a cooperative/società, spesso di capitali, proliferate come i funghi nello svolgimento di una siffatta loro attività di intermediazione, che appare sempre di più una sorta di esercizio di caporalato medico - legittima l’evidenziazione di gravi illegittimità, sino a constatare comportamenti illeciti, sino ad ora passati inosservati, anche riferiti a gravi e diverse fattispecie.
Sono tanti gli accaduti che, oltre alla disorganicità strutturale che ha preso il sopravvento in un Ssn che era il fiore all’occhiello del Paese e della Nazione, mettono in serio pericolo la corretta percezione dell’individuo del diritto alla tutela della salute, così come concepito dall’art. 32 della Costituzione.
I fatti rasentano l’incredibile.
Al riguardo, bene ha fatto la Regione Lombardia a intervenire nel dire stop alla inconcepibile frequenza del ricorso alla retribuzione a gettoni, sopportata inauditamente da anni, nonché a prevedere, tra le possibili, la realizzazione di un sistema di rete “regionale”, posta a garanzia delle presenze professionali necessarie. Una soluzione che, seppur in qualche modo lesiva dell’autonomia aziendale – perché ideata un po’ oltre le righe delle prerogative costitutive delle aziende della salute - ha fatto ricorso alla loro riconosciuta caratteristica dell’imprenditorialità per mettere a terra politiche sanitarie, di insieme e reali, ispirate ad assicurare prioritariamente la salute nel territorio regionale.
I vizi gravi di una siffatta tipologia erogativa della salute
Ma la cosa non finisce qui. Oltre alle turnazioni di medici soci o dipendenti degli anzidetti soggetti con personalità giuridica pubblica con retribuzioni da nababbi, si è constatato tra l’altro:
-un uso distorto, in queste rotazioni nella specie notturne, di medici convenzionati esercenti la medicina generale e la pediatria di base entrambi vogliosi di “arrotondare” quanto diversamente percepito con integrazioni pari a 150 euro l’ora, nonostante le persistenti incompatibilità, i divieti e l’elusione del necessario riposo funzionale ad assicurare la giusta prestazione ai propri assistiti di libera scelta;
-una nutrita presenza di medici extra-Ue spesso non iscritti al rispettivo albo professionale, tale da comportare una loro abusività dell’esercizio, allo stesso modo di come avviene nell’ipotesi di messa in pratica di attività medica senza il superamento dell’esame di Stato per ottenere l’abilitazione all’esercizio della professione;
-un largo ricorso a nomine “primariali” non conseguita a seguito degli ordinari concorsi pubblici, garanti anche della buona pratica acquisita;
-un inadeguato accompagno didattico degli specializzandi - titolari delle rispettive borse di studio di pochi euro e nonostante ciò divenuti i nuovi angeli delle corsie - da parte di personale medico non in organico e, dunque, non riconosciuto mediante concorso pubblico idoneo a rendersi garante della esperienza utile per assicurare il migliore esito alla specializzazione in corso di apprendimento.
Un affidamento guadagnato indebitamente dal Ssn
A ben vedere, considerate queste eccezioni, estensibili a tante altre meno evidenti, è appena il caso di precisare che, tutte, concretizzano una grave violazione del principio di legittimo affidamento dell’utenza che, così facendo, non conosce neppure a chi stia affidando la propria vita. Tutto questo comporta un uso distorto dell’esercizio della intera catena di comando (anche di direttori sanitari di presidio e di Uoc/Uo compresi) che consente tutto ciò, dal momento che le Regioni e aziende della salute, principalmente quelle ospedaliere, hanno l’ardire di mettere i corpi e la psiche dei cittadini in mani non certificate come adeguate. Ciò al mero scopo aziendalistico di coprire alla bene meglio i buchi di organico.
Il principio del legittimo affidamento è quello cui si ispira, più di ogni altro, la pratica dell’assistenza sociosanitaria garantita da strutture contraenti con l’utenza. Con quella che vi si affida e con la quale perfeziona una obbligazione di mezzo, assistita dalle assicurazioni pretese dall’ordinamento, tali da garantire alla persona la tutela della propria salute nei luoghi di cura ai quali la stessa consegna il bene vita. Un principio cui la pubblica amministrazione, che presiede a un siffatto genere di assistenza sociosanitaria, deve assolutamente ossequiare nell’esercizio del proprio potere discrezionale con propri atti di garanzia e di sicurezza nei confronti di chi le affida il proprio malessere fisico ovvero psichico. Confidando in ciò sul legittimo comportamento del decisore pubblico (aziende sanitarie e Regione) che sia assolutamente conforme alle regole, alla cautela, alla diligenza, alla prudenza e alla perizia. Requisiti che, attraverso un ricorso a professionisti con metodologie diverse da quello conseguente all’esito di procedure selettive pubbliche, sono da considerarsi non affatto ossequiati, mettendo tra l’altro in forse anche quello della buona amministrazione relazionato alla (non) economicità, all’efficienza e all’efficacia.
D’altronde, a un siffatto dovere istituzionale soccorre ampiamente l’ordinamento attraverso le scelte dei prestatori d’opera professionale medica effettuate mediante forme agonistiche e per lo più concorsuali. Una selezione accurata da esercitarsi rispettivamente mediante le procedure di accesso alle convenzioni, ex art. 8 del d.lgs. 502/1992, ovvero attraverso l’attività selettiva esercitata con ricorso alle procedure di concorso pubblico, per quei posti in organico previsti nei fabbisogni del personale approvati e finanziati nei relativi bilanci preventivi. Una attività di garanzia selettiva che rintraccia la sua influenza nel rilascio del provvedimento di accreditamento istituzionale, ex art. 8 quater del d.lgs. 502/1992, che fa divieto assoluto, pena la sua revoca ma anche la commissione di un qualsivoglia tipo di reato, di modificare a gogo l’assetto organizzativo delle strutture interessate, cui viene dato accesso a soggetti professionali estranei (e chissà se idonei!) all’originario rilascio del provvedimento concessorio.
La violenza delle norme sull’accreditamento
Il tema affrontato e le illegittimità giuridiche eccepite, seppure nella più generale condivisione della ratio di rimettere comunque in moto quelle corsie uscite male dal Covid e rimaste in panne per carenza di medici, suscitano ulteriori perplessità. Ciò in quanto il ricorso all’outsourcing riferito alle professioni mediche, specie se relazionate a quelle in esercizio nei settori vitali dei luoghi di ricovero e cura, appare infatti non assolutamente conforme alle regole che l’ordinamento assicura alle garanzie di buon trattamento sanitario dell’utenza. Meglio, agli obblighi posti a carico dell’offerta salutare, che si propone costituzionalmente quale soluzione alla domanda assistenziale, esplicitata attraverso una struttura erogativa specifica scelta dal bisognoso per il suo riconosciuto affidamento. Un riconoscimento, questo, guadagnato dal possesso – come si diceva – degli ulteriori (rispetto a quelli minimi dell’autorizzazione) requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi. Questi ultimi garantiti attraverso la certa efficienza del suo organico selezionato mediante concorso pubblico, reso obbligatoriamente noto a terzi per il tramite degli appositi siti web, quale strumento competitivo funzionale a comparare i titoli e le esperienze acquisite dai concorrenti e, di guisa, optare per le scelte migliori. Una condizione, questa, certamente non soddisfatta attraverso il ricorso a liberi professionisti senza che gli stessi abbiano superato il vaglio concorsuale attraverso il quale si accede al pubblico impiego. Una garanzia non usufruibile dall’utenza tutta e, con questo, l’impossibilità di affidamento ai medesimi della sua sorte di vita. Ciò in quanto verrebbe così trattata da professionista - non noto e addirittura in una turnazione stabilita dalla società agente la mediazione secondo i suoi desiderata imprenditoriali - la cui idoneità è solitamente riconosciuta dal management aziendale e dalle direzioni sanitarie in senso lato in base al verificato possesso delle carte - spesso pure in disordine perché non iscritti al corrispondente ordine professionale ovvero in condizioni di evidenti incompatibilità – certificative della loro assunta capacità pratica per affrontare correttamente l’obbligo assistenziale cui sono chiamati.
C’è di più, e non di poco conto
Un tale problema evidenzia ulteriori numerose problematiche, non trascurabili né dai decisori pubblici, regionali e aziendali, né dagli ordini professionali e dalla magistratura, atteso che spesso è facile rilevare in siffatti eventi la concretizzazione di qualche reato, in specie nella non propriamente solita corretta redazione del consenso informato nel quale l’utenza dovrebbe essere edotta della circostanza che la prestazione viene resa da soggetto non in organico della struttura operante.
Un altro serio dubbio è da riferirsi alla copertura assicurativa verso i danni provocati nel corso e ad esito del ricovero ovvero della prestazione medica. Il tema presenta altresì non poche preoccupanti incognite, sia con il danno assicurato attraverso contratti perfezionati con apposite compagnie che in regime di autoritenzione del rischio con gestione diretta dei sinistri.


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