Lavoro e professione

Equo compenso: restano i nodi per le prestazioni dei medici libero professionisti

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

La necessità di applicare un equo compenso per i medici che lavorano in rapporto libero professionale e con società sanitarie di capitale può avere diversi benefici, specialmente in termini di versamenti congrui di contributi previdenziali. Tra gli aspetti più rilevanti oltre alla sicurezza del reddito, la sostenibilità del sistema previdenziale, la parità di trattamento, l’equità contributiva, la qualità dell’assistenza sanitaria e l’attrattività della professione medica.
Era divenuta legge, la n. 49, il 21 aprile 2023, la proposta di iniziativa parlamentare in materia di equo compenso delle prestazioni rese dai professionisti, che ha l’intento di aumentarne la tutela nei rapporti con imprese che, per natura, dimensioni o fatturato, sono ritenute contraenti forti e sono pertanto in grado di determinare uno squilibrio nei rapporti con il singolo professionista.
In particolare, la legge definisce come equo il compenso che rispetta specifici parametri ministeriali ed interviene sull’ambito applicativo della disciplina vigente, ampliandolo sia per quanto riguarda i professionisti interessati, tra i quali sono inclusi gli esercenti professioni non ordinistiche, sia per quanto riguarda la committenza che viene estesa anche a tutte le imprese che impiegano più di 50 dipendenti o fatturano più di 10 milioni di euro, e disciplina la nullità delle clausole che prevedono un compenso per il professionista inferiore ai parametri. Prevede, inoltre, che gli Ordini e i Collegi professionali debbano adottare disposizioni deontologiche volte a sanzionare il professionista che violi le disposizioni sull’equo compenso . Istituisce, inoltre, presso il ministero della Giustizia, l’Osservatorio nazionale sull’equo compenso. Questo osservatorio sembra essere in partenza, dieci mesi dall’approvazione della legge, finalizzato, soprattutto, ad esprimere pareri sugli schemi di atti normativi che riguardino i criteri di determinazione dell’equo compenso e la disciplina delle convenzioni. Molti Ordini hanno iniziato ad adeguare, al disposto legislativo, i loro codici di comportamento. I primi a partire sono stati gli ingegneri. Seguiti, poi dai periti industriali e dai geometri. Fra gli ultimi gli avvocati ed i commercialisti. I punti classificanti sono di disporre che siano gli stessi professionisti a rispettarne i criteri e le misure, e la necessità di informare , in maniera trasparente il cliente del costo dovuto.
Nel settore sanitario si sono attivate alcune professioni quali quelle degli infermieri , la categorie della prevenzione e della riabilitazione, e gli psicologi, che pur non avendo una norma specifica nel loro codice sottolineano il principio della proporzionalità tra intervento e compenso, ed i veterinari. In difficoltà appaiono i medici. Infatti il settore ha vissuto condizioni di difficile concretizzazione. In passato si è discusso sull’istituzione di tariffari minimi ordinistici nazionali. Sulle tariffe minime c’è da fare una breve digressione. Furono abolite nel 2007 dalla legge Bersani.
Ma subito i soggetti, che in precedenza le dovevano rispettare, si sono visti liberi di contrattare i compensi a prezzi spesso così bassi che dopo un po’ i tariffari minimi sono stati riabilitati, sia dalla legge 27/2012 che ha ammesso compensi proporzionati al lavoro svolto per gli avvocati, sia dalla sentenza 532/2015 dell’Unione europea, che ha ammesso la facoltà degli stati membri di lasciare compensi codificati a tutela della prestazione. Spesso la Magistratura, in base alla legge, invia spesso agli Ordini dei Medici ed Odontoiatri, richieste di parere per definire se la tariffa di una perizia sia da ritenersi congrua. Singoli sanitari chiedono, poi, pareri quando entrano in contrasto con i pazienti sul prezzo di una prestazione, ad esempio per una diversa valutazione dell’apporto immateriale del professionista. Una criticità, quella dei compensi al ribasso che sussiste da tempo, cui si è giunti con una serie di escamotage quali onorari inadeguati mascherati sotto le spoglie ingannevoli di grandi quantità prestazionali, come nel caso di medici del lavoro ingaggiati da grandi aziende per effettuare prestazioni e visite sanitarie ai numerosi dipendenti ma che non tengono conto, però, dei costi professionali. Se tale contesto può essere accettato, dicono alcuni medici, per “ sbarcare il lunario ”, non lo può essere dal punto di vista deontologico. I compensi “ stringati ” fanno riflettere su un altro importante aspetto: l’idea che la professione sanitaria, di medici e odontoiatri nello specifico, possa essere equiparata a una qualunque attività di indirizzo commerciale. I rappresentanti dei medici ritengono che sia necessario che venga emanato il decreto recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per le professioni dei medici chirurghi e degli odontoiatri come è avvenuto recentemente, il 10 marzo scorso, per i parametri forensi. La disciplina, infatti, pur riconoscendo astrattamente il diritto del professionista a percepire un compenso proporzionato alla qualità della prestazione resa, rende di fatto tale diritto inesigibile in gran parte delle fattispecie. La legge, in buona sostanza, esclude dall’applicazione del principio dell’equo compenso tutte le prestazioni rese nei confronti di soggetti diversi dalle grandi imprese, lasciando di fatto fuori coloro che svolgono la propria attività esclusivamente nei confronti di persone fisiche.


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