Lavoro e professione

Contratti sanitari: riscritte le clausole per ricostituire il rapporto di lavoro, oggi un’opzione strategica

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Nei tre contratti collettivi del personale del S.s.n è presente un istituto comune chiamato ricostituzione del rapporto di lavoro che, rispetto al passato, assume oggi una importanza e una valenza strategica molto maggiori. Il motivo di questa odierna attenzione sta nel fatto che fino ad alcuni anni fa l’istituto costituiva una prerogativa di interesse esclusivo dell’ex dipendente e le aziende non avevano generalmente intenzione di concederlo, anche per una sorta di fidelizzazione tradita. Nondimeno oggi, con la perdurante e cronica carenza di personale e i concorsi che vanno spesso deserti, il ricorso alla ricostituzione del rapporto si è trasformato a tutti gli effetti in una tipologia di reclutamento: se ci si passa il termine, una forma di “usato sicuro”.

Le tre clausole contrattuali non sono del tutto identiche e hanno dei contenuti particolari che meritano un approfondimento. Innanzitutto quelle del comparto e della dirigenza sanitaria sono state riscritte rispettivamente nel 2022 e nel 2024 e le versioni precedenti (del 2018 e 2019) contenevano errori e improprietà evidenti. Riguardo alla dirigenza PTA, nella Preintesa dell’11 dicembre 2023 non è stata revisionata la pregressa clausola del 2020. In tutti e tre i contratti l’innovazione più significativa rispetto ai vecchi testi del 2001 e 2004 è quella di aver portato da due a cinque gli anni il termine per chiedere la ricostituzione. Nella normativa legislativa e contrattuale vengono utilizzati ben cinque diversi termini con significato solo apparentemente simile: reintegrazione, rientro, ricostituzione, ricollocazione, riammissione. Per poter comprendere le differenze, non si può non tenere conto del senso letterale della locuzione usata dal legislatore o dalle parti negoziali e, in tal senso, sembra plausibile che l’unica che possieda effetti demolitori dell’anzianità economica sia proprio la ricostituzione perché si riferisce ad un rapporto di lavoro formalmente cessato e non alla posizione economica già posseduta. Di conseguenza la ricostituzione opera, se vogliamo, ex nunc e consente soltanto di far ripartire (da zero) il rapporto di lavoro in deroga alla normativa generale mentre le altre forme agiscono ex tunc e fanno salvi gli effetti economici già conseguiti.

L’istituto coincide sostanzialmente con la ex riammissione di cui all’art. 59 del DPR 761/1979 ed è molto delicato per i contrapposti interessi che coinvolge. Potrebbero sorgere addirittura dubbi sulla legittimità della fonte pattizia perché la ricostituzione è comunque una forma di accesso agli impieghi che notoriamente costituisce materia riserva di legge e non casualmente in passato era disciplinata dalla legge mediante il richiamato decreto specifico e, prima ancora, con l’art. 132 del TU approvato con il DPR 3/1957. In merito a quest’ultima disposizione - che rappresenta comunque la “madre” delle successive norme - il TAR Lazio, sezione IV, con la sentenza n. 751 del 24 gennaio 2022 ha richiamato la giurisprudenza formatasi nel tempo e l’orientamento costante che interpreta il citato art. 132 nel senso che al dipendente non è attribuito un diritto soggettivo alla riammissione in servizio, disponendo l’Amministrazione, al riguardo, di ampia discrezionalità in relazione alla situazione d’organico e ad ogni altra esigenza organizzativa e di servizio e, quindi, al fine di verificare la sussistenza di un interesse pubblico alla copertura del posto vacante senza concorso. Nel caso della citata pronuncia del 2022, si trattava del non accoglimento di una richiesta di un poliziotto ultraquarantenne che i Giudici amministrativi hanno ritenuto legittimo.

Per ciò che concerne la prassi, si possono ricordare due pareri dell’ARAN che seguono la consolidata giurisprudenza. Con il RAL432 del 6.6.2011 si ricorda che non esiste un diritto del lavoratore ad ottenere la ricostituzione ma solo quello a presentare la relativa domanda; l’atto di riammissione in servizio (non si tratta di un provvedimento amministrativo ma di un atto gestionale adottato con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro) dipenderà esclusivamente dalle autonome valutazioni discrezionali del datore di lavoro pubblico, sempre che vi sia l’effettiva disponibilità di un corrispondente posto vacante in organico. Inoltre, il coevo RAL434 precisa che il contratto utilizza l’espressione “in caso di accoglimento della richiesta” che fa ipotizzare anche il caso che la domanda non trovi accoglimento. Viene peraltro richiamata l’attenzione sulla circostanza che anche i poteri datoriali, nella applicazione di discipline negoziali, devono essere improntati a correttezza e buona fede, evitando atti discriminatori o irragionevoli. Nello specifico ambito della Sanità, si possono citare i seguenti Orientamenti applicativi: ASAN21 del 4.11.2020, ASAN65a del 21.7.2022, ASAN84a e ASAN95a del 27.12.2022, tutti concernenti dettagli tecnici relativi al trattamento economico spettante.

Ma vediamo le singole clausole contrattuali in questione.

Comparto - Art. 42 del CCNL del 22.11.2022
“1. Il dipendente con rapporto di lavoro a tempo indeterminato che abbia interrotto il rapporto di lavoro per proprio recesso o per motivi di salute può richiedere, entro cinque anni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, la ricostituzione dello stesso”.

Dirigenza sanitaria - Art. 18 del CCNL del 23.1.2024
“1. Il dirigente che abbia interrotto il rapporto di lavoro per proprio recesso o per motivi di salute può richiedere all’ultima Azienda o Ente con la quale è stato instaurato il rapporto di lavoro, entro cinque anni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, la ricostituzione dello stesso”.

Dirigenza PTA - Art. 68 del CCNL del 17.12.2020
“1. I dirigenti professionali, tecnici e amministrativi che abbiano interrotto il rapporto di lavoro per proprio recesso o per motivi di salute possono richiedere alla stessa Azienda o Ente, entro cinque anni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, la ricostituzione dello stesso”.

L’istituto contrattuale, come si è potuto notare, è identico nella sostanza ma nella forma ha almeno due differenze (quelle sottolineate): per il comparto non si fa riferimento alla “ultima azienda” e, invece, si limita il riconoscimento al solo personale a tempo indeterminato. Quest’ultimo aspetto è peraltro ininfluente e forse una tale precisazione può essere stata generata nel CCNL del comparto dall’abnorme e diffuso ricorso al lavoro flessibile e magari qualcuno ha pensato di poter “ricostituire” un rapporto a termine cessato, il che è impossibile.

Passiamo allora ad esaminare alcune particolarità applicative:

•non si tratta di un diritto soggettivo perfetto perché è sottoposto alla valutazione discrezionale dell’azienda che, infatti, “si pronuncia motivatamente entro 60 giorni dalla richiesta” e si parla esplicitamente di “accettazione”;

•le causali della cessazione sono “per proprio recesso o per motivi di salute” e in questo secondo caso è ovvio che la procedibilità è condizionata dalla visita preassuntiva ex art. 41, comma 2-bis, del d.lgs.81/2008;

•il richiedente deve mantenere il possesso dei requisiti per l’assunzione: il CCNL del comparto fa riferimento solo ai requisiti in senso lato mentre quelli della dirigenza sanitaria e della dirigenza PTA parlano di “requisiti generali” e va detto che sono inesatti tutti e tre perché è scontato che devono essere mantenuti, a maggior ragione, anche i requisiti specifici;

•ai fini del regolare inoltro della richiesta, non rileva cosa abbia fatto l’interessato nel periodo successivo alla cessazione: può aver lavorato in un’altra azienda, in un’altra pubblica amministrazione, nel privato, aver svolto libera professione o, infine, non aver fatto nulla;

•l’azienda si pronuncia motivatamente entro sessanta giorni dalla richiesta ma tale termine non riguarda l’effettiva ripresa del servizio che può avvenite anche successivamente;

•la ricostituzione non può essere richiesta nel caso di una pregressa avvenuta mobilità, per i rapporti a tempo determinato, per gli specializzandi nonchè da parte di coloro che sono stati licenziati;

•infine, per il solo personale sanitario, la clausola della dirigenza sanitaria non fa alcun riferimento al personale che ha lasciato l’azienda sanitaria per andare con le cooperative a fare il cosiddetto “gettonista”. Si tratta del divieto posto dall’art. 10, comma 6, della legge 56/2023: la disposizione di legge è chiara e chi ha interrotto per “proprio recesso” e ha fatto il gettonista non può chiedere la ricostituzione. Forse, data la delicatezza della tematica, il CCNL poteva anche richiamare la disposizione legislativa. Il contratto del comparto è precedente alla disposizione del “decreto bollette” ma il divieto si applica ugualmente. Naturalmente la norma in parola non riguarda i dirigenti PTA.


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