Medicina e ricerca

Infertilità, il «pollution cocktail» che colpisce le coppie

di Alberto Ferlin (Università di Padova,dipartimento di Medicina -presidente Società italiana di Andrologia e medicina della sessualità - Siams)

La fertilità umana sembra in continuo declino, almeno nei Paesi più industrializzati, e in Italia in particolare la denatalità è in progressivo aumento. Al di là di fattori socio-economici, il significato biologico di questo fenomeno non è trascurabile. Nei Paesi occidentali, una coppia su cinque ha difficoltà a procreare in modo naturale: circa il 20% infatti delle coppie viene definita infertile dall’Organizzazione mondiale della sanità perché dopo un anno di rapporti sessuali non protetti non ha ancora ottenuto una gravidanza. Le cause della infertilità di coppia sono equamente distribuite tra maschi e femmine: circa un terzo delle coppie risulta infertile per problemi maschili, un terzo per problemi femminili e un terzo per cause combinate. Ciò si traduce in un esercito di persone con problemi di ridotta fertilità: circa un milione e mezzo di coppie senza figli, più di 100mila coppie che ogni anno richiedono una consulenza specialistica, 70mila coppie che ogni anno eseguono procedure di procreazione medicalmente assistita. E i figli nati da fecondazione assistita sono ormai quasi il 3% dei nati in Italia.

Il potenziale di fertilità nelle coppie dei Paesi occidentali
Ma non è solo il progressivo aumento del ricorso alle tecniche di fecondazione assistita il segno di una riduzione del potenziale di fertilità nelle coppie dei Paesi occidentali. La quantità e qualità degli spermatozoi negli ultimi decenni è peggiorata e sono aumentate alcune patologie del tratto riproduttivo maschile. Queste includono il criptorchidismo, cioè la mancata discesa di uno o entrambi i testicoli nello scroto durante la gravidanza che interessa circa il 3% dei bambini, il tumore del testicolo, che rappresenta il tumore più frequente nei giovani maschi tra i 15 e i 40 anni, l’ipospadia, cioè una malformazione congenita dovuta a un alterato sviluppo dell’uretra. Anche la produzione ormonale del testicolo sembra in declino: i livelli di testosterone degli uomini di oggi sono più bassi di qualche generazione fa e una percentuale importante di uomini ha un ipogonadismo, cioè appunto ridotta produzione di testosterone che a sua volta espone a un aumentato rischio di patologie quali quelle cardiovascolari, obesità, diabete e osteoporosi.

L’aumento della infertilità maschile e le patologie collegate
La cause di questo aumento di infertilità maschile e di patologie collegate sono ovviamente molteplici e a volte non ancora chiarite. In questo contesto però, sempre maggiori evidenze sperimentali, cliniche ed epidemiologiche attribuiscono un ruolo importante ai fattori ambientali e agli stili di vita nocivi quali fumo, alcool, droghe e malattie sessualmente trasmesse. L’inquinamento ambientale può sicuramente contribuire alla riduzione della fertilità maschile e della spermatogenesi, così come all’amento di criptorchidismo e tumore del testicolo. Siamo tutti immersi, mangiamo e respiriamo, in un cocktail in cui diossine, pesticidi, metalli pesanti, componenti plastici e additivi per l’agricoltura si accumulano nell’aria e nella catena alimentare. Alcuni componenti di queste sostanze hanno un chiaro effetto negativo sul sistema riproduttivo in studi sperimentali su animali, mentre le evidenze sull’uomo sono meno chiare, ma comunque presenti. Molte di queste sostanze agiscono come distruttori, o interferenti, ormonali. Agiscono cioè sul sistema endocrino perché assomigliano agli ormoni naturali che regolano lo sviluppo del testicolo e la differenziazione sessuale, così come la produzione degli spermatozoi e del testosterone. Il normale sviluppo e funzionamento del testicolo infatti richiede un fine bilanciamento tra gli ormoni “maschili”, cioè il testosterone, e quelli “femminili”, cioè gli estrogeni.

Le patologie dell’uomo adulto si sviluppano molti anni prima
Se durante la gravidanza, quando gli organi genitali si stanno sviluppando, questo rapporto tra gli ormoni si sbilancia, il testicolo e tutto l’apparato riproduttivo maschile può non formarsi in modo corretto. E ciò si traduce appunto in problemi alla nascita (criptorchidismo, ipospadia) o in età adulta (infertilità, tumore del testicolo, ipogonadismo). Dobbiamo sempre tenere presente infatti che molte delle patologie che vediamo nell’uomo adulto possono avere origine molti anni prima, anche appunto durante la gravidanza.

Gli interferenti endocrini possono però giocare un ruolo negativo su questo fine sistema riproduttivo anche in epoca post-natale, soprattutto durante la pubertà, periodo in cui il sistema ormonale si completa e inizia la produzione degli spermatozoi. Gli interferenti endocrini di origine ambientale, per quanto riguarda le patologie maschili, non fanno altro che alterare la bilancia androgeni/estrogeni agendo in modo simile agli estrogeni o bloccando l’azione del testosterone. Ricordiamo che in questo contesto la definizione di “ambiente” che meglio si addice è quella dell’«insieme delle condizioni e delle influenze sotto le quali ogni persona o essere vivente vive e si sviluppa».

I dati sperimentali sugli animali da laboratorio sono abbastanza chiari: l’esposizione durante la gravidanza a interferenti endocrini è in grado di provocare proprio quelle patologie che anche nell’uomo sono in aumento. Si tratta soprattutto di ftalati e bisfenolo utilizzate nei plasticizzanti, diossine, insetticidi. Anche negli animali che vivono in zone particolarmente inquinate si sta osservando un aumento di patologie del tratto riproduttivo. Ne sono un esempio gli alligatori che vivono nel lago Apopka in Florida dove si è verificato un inquinamento elevato da parte di Ddt (che agisce come anti-androgeno), che hanno un pene più piccolo e livelli di testosterone più bassi. Anche alcuni pesci ne stanno risentendo e sono sempre più frequenti i casi di femminilizzazione e alterato sviluppo delle gonadi in alcune specie che vivono in acque contaminate da scarichi industriali. Gli orsi polari hanno anch’essi sempre più malformazioni genitali.

Gli studi sperimentali quindi, gli esempi in natura e i dati epidemiologici sull’uomo sembrano indicare un impatto negativo sulla fertilità maschile e sulla salute in generale dell’apparato riproduttivo maschile. Non possiamo però traferire sic et simplicitur gli esperimenti in laboratorio all’uomo. Nel primo caso infatti si utilizzano dosi molte elevate di singoli composti chimici, mentre noi siamo esposti in un cosiddetto “pollution cocktail” formato da centinaia, migliaia di sostanze ognuna delle quali a livelli estremamente inferiori a quelli utilizzati in laboratorio. E risulta difficile riconoscere il ruolo di ognuna di queste. Certo è che alcuni studi fatti su persone emigrate da un Paese a bassa incidenza di patologie del tratto riproduttivo verso Paesi in cui questa incidenza è molto alta, acquisiscono l’incidenza del Paese nuovo alla seconda o terza generazione. Ciò suggerisce che i fattori ambientali prevalgano su quelli genetici.


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