Medicina e ricerca

Malattie non trasmissibili: la medicina dello sport italiana fa scuola nel mondo

di Maurizio Casasco*

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24 Esclusivo per Sanità24

Quello della prevenzione e della lotta alle malattie non trasmissibili (NCDs) è uno dei temi di maggiore rilevanza e attualità, su cui si sta concentrando l’attenzione di tutti i governi e delle grandi organizzazioni, come testimonia la risoluzione Onu in materia firmata lo scorso 27 settembre.
I numeri sono inquietanti: oggi, le NCDs uccidono 41 milioni di persone in tutto il mondo pari al 71% di tutti i decessi, tra cui 15 milioni tra i 30 e i 69 anni, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. In Italia le NCDs sono responsabili del 91% dei decessi.
Parliamo, soprattutto, di cardiopatie, cancro, diabete e malattie respiratorie, ma anche di Alzheimer. Il loro dilagare è conseguenza di complesse interazioni tra fattori genetici individuali e di popolazione e tendenze universali come l’invecchiamento, l’urbanizzazione indiscriminata, il riscaldamento globale, l’inquinamento e - non da ultimo - la diffusione di stili di vita malsani.

L'obiettivo ambizioso dei grandi della terra
L’obiettivo che si sono dati i grandi della terra è ambizioso: ridurre di 1/3 la mortalità prematura da NCDs entro il 2030. E altrettanto ambizioso e articolato è il piano d’azione globale, che implica un cambiamento radicale dell’approccio culturale e metodologico con il superamento dei modelli di cura fino ad oggi utilizzati e il passaggio da una medicina clinica di diagnosi e cura a una medicina di prevenzione e di precisione; di qui, gli interventi per la riduzione dei principali fattori di rischio (alcolici, diete ipercaloriche, tabacco) e le campagne di sensibilizzazione volte a contrastare la sedentarietà e a promuovere uno stile di vita attivo, accanto a misure di sostegno alla ricerca e all’innovazione tecnologica e proposte per lo sviluppo di un sistema normativo e fiscale atto a promuovere la cooperazione tra tutti gli stakeholder.
Quello della riduzione del rischio attraverso la prevenzione è un tema primario della Medicina dello Sport: una specialità multidisciplinare che - forte di un’eredità millenaria - nasce proprio in Italia, prima del mondo nel 1957, come Scuola Universitaria di Specializzazione post-laurea. E da allora il “modello italiano” di Medicina dello Sport rimane un punto di riferimento in tutto il mondo. Un modello di formazione e di ricerca applicata, per l’appunto, ma anche un modello di prevenzione attraverso la visita di idoneità medico-sportiva, che rappresenta a tutt’oggi il primo screening preventivo per una considerevole parte della popolazione, soprattutto quella giovanile, e che consente di individuare potenziali fattori di rischio o patologie misconosciute e una straordinaria opportunità di educazione della persona.

Le strategie delle Nazione Unite e l'intervento dell'Italia
Non è un caso che in qualità di presidente della Federazione Medico Sportiva Italiana sono intervenuto – unico di due italiani – all’audizione svoltasi lo scorso 5 luglio presso le Nazioni Unite sul tema della prevenzione e del contrasto alle malattie non trasmissibili: un intervento che ha spiegato il ruolo dell’attività fisica come strumento di prevenzione primaria, secondaria e terziaria, con l’obiettivo di mettere a disposizione questo straordinario background di conoscenze e di esperienze, affinate grazie all’attività condotta su atleti di massimo livello, di tutta la popolazione mondiale, con conseguente miglioramento della salute della persona e potenziamento della sostenibilità del Sistema tutto.
È ormai acclarato che la principale causa delle malattie non trasmissibili è l’infiammazione cellulare e questa può essere contrastata - con riduzione globale del rischio - proprio attraverso l’esercizio fisico, anziché con altri pur utili strumenti che hanno costi decisamente superiori. Tra questi, anche la riduzione calorica può apportare benefici in tal senso, ma necessita di elementi quali la qualità dei cibi, la specificità dei componenti degli stessi, le quantità disponibili a livello internazionale che impattano a livello di risorse economiche.
Una regolare attività fisica correttamente prescritta nella “giusta dose” alla stregua della prescrizione di un farmaco è sempre più utilizzata non solo come strumento di prevenzione primaria per la riduzione dei fattori di rischio, ma anche a livello di prevenzione secondaria per il trattamento delle patologie croniche quale parte integrante di un programma riabilitativo multidisciplinare.

La prevenzione primaria comincia prima del concepimento
Ma non solo. Recenti ricerche epigenetiche hanno avvalorato gli effetti positivi dell’esercizio fisico sulle cellule malate, con conseguenze estremamente importanti per il patrimonio epigenetico transgenerazionale. Esercizio fisico insufficiente e dieta obesogenica influenzano negativamente la risposta della prole a sfide successive, aumentando il rischio di malattia nell'età adulta, mentre l’adozione di corretti stili di vita (specie l’esercizio fisico) ha il potenziale di modificare l’epigenoma delle cellule riproduttive.
In poche parole, la prevenzione primaria comincia prima del concepimento e continua per tutta la vita, al fine di migliorare l’età biologica rispetto all’età anagrafica.
Non possiamo pensare di azzerare il rischio, ma possiamo agire per ridurlo significativamente, proprio partendo dall’esperienza sugli atleti olimpici, su cui viene testata l’efficacia dell’esercizio fisico correttamente prescritto, per poi applicare i risultati ottenuti su tutta la popolazione.
E possiamo coniugare questo background di competenze ed esperienze proprie dello specialista in Medicina dello Sport con gli studi dell’epigenetica, per addivenire a un modello integrato e costo-efficace di prevenzione/predizione delle malattie croniche.

*Presidente della Federazione Italiana e della Federazione Europea di Medicina dello Sport


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