Medicina e ricerca

Gaslini: la malattia renale cronica non aumenta il rischio Covid-19 nei bambini

di Alessandra Ferretti

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I bambini immunodepressi per trattamento cronico di malattia renale severa non sono più a rischio di altri di contrarre l'infezione da Covid-19. Lo ha dimostrato uno studio condotto dall'equipe nefrologica dell'Istituto Giannina Gaslini di Genova.
Nell'immediatezza dell'emergenza sanitaria, non era chiaro se le terapie immunosoppressive a base di anticorpi antiCD20 Rituximab o Ofatumumab, largamente impiegate in soggetti adulti o pediatrici con diverse glomerulopatie, potessero predisporre a contrarre il virus Sars-CoV-2 o a sviluppare una malattia più grave.

A partire dall'inizio di febbraio, l'istituto Gaslini ha organizzato due osservatori sui pazienti italiani, i cui risultati sono stati pubblicati sulle riviste delle Società Americane di Nefrologia e di Trapianto. Sono stati selezionati in maniera imparziale (tutti i bambini trattati negli ultimi 3 anni) oltre 300 bambini e giovani adulti. Di questi pazienti, 159 erano stati trattati con anticorpi anti-CD20 per sindrome nefrosica dipendente ai farmaci (tutti domiciliati in Italia in aree ad alta incidenza di Sars-CoV-2 nel periodo che è andato dal 24 febbraio al 7 aprile 2020) e 160 con trapianto renale trattati con immunodepressione standard per prevenire il rigetto. In nessun paziente – pur avendo essendo stati 7 di loro conviventi di familiari affetti da Covid-19 -, è stata diagnosticata la malattia da coronavirus.

"Questi risultati dimostrano la sostanziale resistenza al Covid-19 da parte dei giovani pazienti con immunodepressione anche importante", afferma Gian Marco Ghiggeri, direttore dell'Unità operativa complessa di Nefrologia dell'Irccs Giannina Gaslini. "Ciò comporta che anche durante il periodo Covid-19 sia possibile sottoporre i pazienti a immunodepressioni importanti, senza con questo aumentare minimamente il rischio di contrarre il coronavirus. Anzi, ipotizziamo anche che queste possano avere in qualche modo un ruolo protettivo".

Cambia così il destino terapeutico di migliaia di pazienti con malattia immunologica ed autoimmune, dal momento che i nefrologi utilizzano terapie immunosoppressive (vedi ad esempio quelle a base di anticorpi monoclonali antiCD20) che si caratterizzano per avere un lungo effetto nel tempo. Prosegue Ghiggeri: "Un effetto collaterale della pandemia è consistito nell'aver ridotto le cure dei pazienti con malattia immunologica ed autoimmune, nella convinzione che le stesse aumentassero il rischio e la severità dell'infezione da SARS-CoV-2. Si calcola che circa un milione di persone nel mondo siano a rischio di ‘sotto-trattamento' e di riaccensione della malattia da cui sono affetti. La convinzione, non provata scientificamente, rischia di produrre danni in termini di salute quasi paragonabili all'infezione da coronavirus stessa".


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