Medicina e ricerca

Coronavirus: con il lockdown sospesi il 93,5% dei progetti di ricerca oncologica

di Alessandra Ferretti

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Durante il lockdown in Italia le attività di ricerca scientifica oncologica si sono ridotte nel 93,5% dei casi, con una sospensione totale delle attività di ricerca in presenza per il 48% e parziale nel 36%. Lo stabilisce una ricerca condotta dalla Società Italiana di Cancerologia (SIC), che tra il 5 e il 27 maggio scorso ha realizzato un sondaggio al quale hanno risposto 570 ricercatori, di cui 178 responsabili di laboratori di ricerca, distribuiti in 19 regioni italiane. "Un arresto del lavoro di ricerca anche 'solo' di pochi mesi – spiega il presidente della SIC, Nicola Normanno, che è anche direttore del Dipartimento di Ricerca Traslazionale dell'Istituto Tumori Fondazione Pascale di Napoli – rischia di comportare un ritardo in termini di scoperta scientifica fino a due anni. Questo accade nel campo di una patologia, quella oncologica, per cui l'evoluzione delle terapie legata al progresso e all'innovazione influenza prepotentemente le opportunità di cura dei nostri pazienti. E non dimentichiamo che in Italia le nuove diagnosi di malattia neoplastica sono di circa 1.000 nuovi casi al giorno, esclusi i tumori della pelle".

Durante il lockdown l'88,6% dei ricercatori ha svolto attività di ricerca in modalità smart working, mentre il 29% ha riconvertito la propria attività a supporto dell'emergenza Covid-19, concentrandosi in particolare sul sequenziamento del virus e sull'identificazione dei meccanismi alla base della patogenesi della malattia.

Il sondaggio rivela poi anche che, al termine del lockdown, il 19,5% dei ricercatori non aveva ancora ripreso le proprie attività. Nell'85% dei casi è stato organizzato un sistema di turnazione per riavviare l'attività di ricerca. Il 74%, invece, riferisce che nella fase 2 per alcune categorie di personale erano ancora previste restrizioni di accesso fisico ai laboratori.
Ancora, solo il 61% dei partecipanti ha dichiarato che l'istituzione presso la quale lavora ha previsto una redistribuzione degli spazi adibiti alle attività di ricerca. Di contro, solo il 25% di tutti gli intervistati addetti alla ricerca sperimentale o clinica è stato sottoposto a tamponi o test sierologici al rientro in laboratorio, mentre per il 24% i test erano stati previsti ma non ancora effettuati al momento dell'indagine.

"La fotografia emersa sullo stato di avanzamento della ricerca sul cancro durante l'emergenza da Covid-19 mette in luce come la situazione sia stata affrontata in modo molto eterogeneo dai diversi centri di ricerca italiani. È mancato un piano condiviso a livello nazionale che garantisse continuità alle attività, laddove questo fosse possibile, e soprattutto una ripresa rapida al termine del lockdown", aggiunge Normanno.

"La Società Italiana di Cancerologia, che raggruppa scienziati operanti nel campo dell'oncologia sperimentale e clinica, auspica dunque l'adozione di un piano di contingenza nazionale per la ricerca scientifica", prosegue il presidente. "Questo piano dovrebbe consentire, nel rispetto della sicurezza degli operatori, una prosecuzione adeguata delle attività di ricerca di laboratorio, qualora si dovessero ripresentare emergenze epidemiologiche. Se infatti il trend dei contagi si mantenesse costante o addirittura crescesse, non avremmo a disposizione quelle regole generali necessarie a cui riferirci per proseguire il nostro lavoro e sulle quali creare a nostra volta, adeguandole alle situazioni di ogni singolo laboratorio, norme di sicurezza atte a garantire una continuazione dell'attività di ricerca".


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