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Covid/ Reumatologia: un paziente su tre salta i controlli e Modena attiva una linea telefonica

di Alessandra Ferretti

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Reumatologia, il futuro è nelle reti e nella stretta collaborazione tra medici di medicina generale, e specialisti reumatologi territoriali e ospedalieri. Lo ha dimostrato l'esperienza del Covid-19 durante la quale, nei territori in cui era presente una rete, questa ha permesso di continuare ad erogare i servizi necessari. Parliamo di una patologia, quella reumatologica, di cui in Italia soffrono oltre 5 milioni di persone e per cui resta decisiva la capacità di mantenere bassa l'attività di malattia non solo per prevenire deformità articolari e gravi danni d'organo, ma anche per evitare una prognosi più severa in caso di infezione da Sars-CoV-2.

"Durante la pandemia abbiamo proseguito il monitoraggio costante dei pazienti reumatologici utilizzando gli strumenti della telemedicina, del dialogo diretto con i medici di medicina generale, delle visite presso gli ambulatori specialistici territoriali e delle consulenze negli ospedali zonali, supportati nella comunicazione dall'Associazione Malati Reumatologici dell'Emilia Romagna AMRER", sottolinea Carlo Salvarani, Direttore della S.C. di Reumatologia all'Ausl-Irccs di Reggio Emilia e della S.C. di Reumatologia dell'Azienda Ospedaliero – Universitaria di Modena e professore all'Università di Modena e Reggio Emilia. "In particolare, sei mesi fa abbiamo attivato a Modena il servizio "Reumatologo on call" e oggi ne abbiamo fatto richiesta anche a Reggio Emilia. Si tratta di una linea telefonica che noi reumatologi abbiamo messo a disposizione dei medici di medicina generale per cinque ore al giorno 5 giorni alla settimana, durante le quali essi possono sottoporci quesiti, consulenze o consulti. Si è rivelato utilissimo, perché facilita i percorsi dei pazienti, snellisce il lavoro del reumatologo e migliora l'appropriatezza di visite, esami e terapie. Sicuramente sarà uno strumento che manterremo anche in epoca di non emergenza pandemica".

Il monitoraggio costante e attento dei pazienti con malattie reumatiche è indispensabile per mantenere una bassa attività di malattia o addirittura per renderla inattiva. Spiega Salvarani: "In base alla nostra strategia di treat-to-target, abbiamo regole ben definite per valutare ogni due o tre mesi l'efficacia di una certa terapia sull'attività della malattia e quindi deciderne il mantenimento o la sostituzione in base alla risposta terapeutica. Tanto più che un'elevata attività di malattia nei pazienti reumatici, in caso di infezione da Sars-CoV-2, potrebbe favorire una prognosi più severa della malattia Covid-19, con anche intubazione e possibile decesso".

Prosegue Salvarani: "Durante i mesi più critici della pandemia, sia a Modena che a Reggio Emilia, dal 40 al 44% dell'organico dei reumatologi è stato impiegato in attività Covid. I posti letto di degenza sono stati riconvertiti a posti letto Covid. Il fatto di avere in Emilia Romagna una rete territoriale tra Reggio, Modena e Bologna ci ha permesso di erogare servizi senza interruzione. Tutti i pazienti schedulati in visita ambulatoriale sono stati chiamati telefonicamente. Qualora emergessero problematiche urgenti correlate alla malattia o alla terapia, il paziente veniva visto in presenza come visita urgente. Il problema semmai era quello di recuperare i pazienti, ma, sempre grazie alla rete, al 1 settembre avevamo già recuperato tutte le sedute. Questo è potuto accadere grazie al supporto delle strutture periferiche e alla stretta collaborazione tra specialisti territoriali e ospedalieri".

In base ad un sondaggio nazionale svolto da AMRER sui pazienti affetti da artrite reumatoide durante i mesi della pandemia, emerge che per oltre il 66% dei partecipanti "il medico di medicina generale non conosce molto della loro malattia e non ha contatti con il loro specialista reumatologo". Inoltre, per più del 34% dei pazienti i controlli con il proprio reumatologo, a partire da marzo 2020 a oggi, non si sono svolti con regolarità, perché i malati stessi hanno rinunciato alla visita in presenza per timore del contagio (38,1%), perchè hanno avuto difficoltà a reperire lo specialista (33,3%) o perché sono stati loro costantemente rinviati i controlli (28,6%).

"Tra Modena e Reggio Emilia abbiamo 11 specialisti reumatologi territoriali che fanno parte della rete reumatologica e che sono strettamente integrati con gli specialisti reumatologi ospedalieri e con i medici di medicina generale", aggiunge Salvarani. "Lo specialista reumatologo territoriale, oltre ad avere un ruolo di primo piano nella diagnosi e terapia precoce delle malattie reumatiche, svolge attività di consulenza negli ospedali zonali. Inoltre, per migliorare le sinergie con gli specialisti reumatologi ospedalieri, a cui invia i casi più complessi, egli svolge anche un'attività reumatologica dedicata di secondo/terzo livello nella stessa struttura reumatologica ospedaliera. Questa è la formula che funziona".
Prosegue poi il professore: "Quello che ancora manca è forse lo sviluppo di una rete reumatologica così strutturata in tutta la regione che richieda anche l'identificazione di una persona localmente in grado di coordinare i vari specialisti. E oggi, proprio anche a fronte dell'andamento del settore durante la pandemia, tale strutturazione in rete diffusa sul territorio è diventata prioritaria nelle agende dei direttori. Altra esigenza da soddisfare sarebbe l'attivazione di percorsi di formazione e aggiornamento reumatologico per i medici di medicina generale e, data la presenza di malattie reumatologiche infantili, per i pediatri di libera scelta. Questi percorsi potrebbero aiutarli a riconoscere le patologie reumatiche e ad indirizzare il paziente il più precocemente possibile, visto che proprio da questo dipenderà la precocità dell'intervento terapeutico e quindi l'andamento della sua malattia ed il livello della sua qualità di vita".

Durante i mesi anche più critici della pandemia, decisivo è stato il contributo dell'associazione AMRER, cha a sua volta ha creato una rete con tutti i reumatologi della regione facendone un punto di riferimento per i pazienti. Daniele Conti, direttore di AMRER, sottolinea: "All'inizio abbiamo cercato di standardizzare le risposte. Quindi, una volta che i reumatologi ci hanno fornito numeri di telefono e mail per i contatti nei periodi di chiusura, abbiamo continuato a fornire a chi ce lo chiedesse informazioni su vaccinazioni, accessi e percorsi. In piena pandemia la confusione era enorme. Da allora ad oggi sui social ci seguono 33mila persone che ovviamente hanno a che fare direttamente o indirettamente con le patologie reumatologiche".


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