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Aiom: l’esercizio fisico un ‘toccasana’ per la mobilità dei pazienti oncologici

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La strada per ritrovare una buona qualità di vita dopo la malattia, mantenendo anche le ossa in buona salute, è fare esercizio fisico con regolarità. L’attività fisica adattata alle condizioni dei pazienti aumenta le capacità funzionali del 13% e fino al 40% la forza muscolare, migliorando qualità come flessibilità e mobilità articolare fino al 53% e consentendo così un miglioramento tangibile della qualità di vita e una maggiore autonomia. Il movimento deve quindi essere parte integrante della riabilitazione dei pazienti oncologici dopo la chirurgia, perché aumenta le capacità funzionali e la forza muscolare, migliora la flessibilità e la mobilità articolare, aiuta a ridurre il peso: lo dimostrano i primi risultati del progetto ‘Operazione PHALCO’ (PHysicAL aCtivity for Oncology) promosso da Fondazione AIOM, che saranno presentati durante la Giornata della Fondazione del 21 ottobre dedicata quest’anno alla salute dello scheletro nei pazienti oncologici con il webinar ‘Salute delle ossa e tumori’.

‘Operazione PHALCO’ è il primo progetto nazionale con l’obiettivo di strutturare un percorso post-operatorio di attività fisica adattata per i pazienti oncologici grazie alla collaborazione di oncologi, medici dello sport e specialisti in attività motoria preventiva e adattata. Durante l’incontro si affronterà anche la problematica della gestione della salute dell’osso durante le terapie ormonali adiuvanti per donne operate al seno e per la prevenzione degli eventi scheletrici da metastasi ossee nelle persone con malattia mammaria e prostatica avanzata. Attraverso domande e risposte fra medici e pazienti ci sarà l’occasione per rispondere alle richieste più frequenti dei malati su questi argomenti.

L’evento, in streaming, vedrà la partecipazione anche dei senatori Pierpaolo Sileri (sottosegretario alla Salute) e Paola Boldrini (vicepresidente Commissione Igiene e Sanità), e del presidente AIOM, Giordano Beretta.

Il ruolo dell'attività fisica
“L’attività fisica rappresenta uno degli strumenti più importanti per la prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili ed è fondamentale per il benessere psicofisico e per migliorare la qualità di vita, a tutte le età e anche nei pazienti oncologici – spiega Stefania Gori, presidente di Fondazione AIOM, e direttore del Dipartimento Oncologico IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, Negrar di Valpolicella –. Sappiamo che chi svolge un’attività fisica moderata per 30 minuti almeno 5 giorni a settimana per esempio ha il 7% di rischio in meno di ammalarsi di tumore al seno, il 15% in meno di cancro del colon retto, rene e fegato. Dati sempre più consistenti però sottolineano che l’attività fisica è fondamentale anche nei pazienti con tumore, per mantenere una buona qualità di vita e una sufficiente autonomia, diminuire la probabilità di recidive tumorali e conservare ossa in salute nonostante il cancro”.

I risultati dell'indagine
“Proponiamo a pazienti con una diagnosi di tumore quattro mesi di attività fisica su misura, attraverso incontri che dall’inizio della pandemia si sono spostati online anziché in presenza per erogare il servizio garantendo la massima sicurezza ai malati, soggetti fragili per definizione – racconta Attilio Parisi, rettore dell’Università degli Studi di Roma ‘Foro Italico’ –. I risultati evidenziano un incremento del 13% della capacità funzionale residua, che indica l’abilità a svolgere compiti che richiedono uno sforzo fisico di qualsiasi tipo in casa, sul lavoro, nel tempo libero: un parametro influenzato da molti fattori, per esempio dalla forza degli arti inferiori che è risultata migliorata in tutti i pazienti, con un incremento per esempio del 23% nella forza esplosiva. La flessibilità è migliorata del 54%, la mobilità articolare del 14%, la forza muscolare nell’alzarsi dalla sedia o salire le scale del 40 %: tutto questo si traduce in una migliore qualità di vita e nella possibilità di mantenere un buon grado di autonomia più a lungo. Inoltre il peso dei pazienti è diminuito del 2,5%, a conferma dell’importanza di prevedere protocolli come questi nella riabilitazione dei pazienti oncologici”.

La fragilità ossea causata dal tumore
L’attività fisica è fondamentale dopo un tumore anche per mantenere le ossa in salute, come aggiunge Lorena Incorvaia, oncologa dell’Università di Palermo: “Il tumore, per effetto diretto delle cellule tumorali o per le terapie utilizzate, può causare la perdita di densità ossea aumentando quindi il rischio di osteoporosi. Su tutto ciò può influire negativamente l’inattività, causando un deperimento muscolare: uno stile di vita sano e fisicamente attivo, sotto indicazione e stretto controllo medico, può contribuire a rinforzare e a mantenere un adeguato tono muscolare e a migliorare l’equilibrio. Dopo l’intervento chirurgico e durante le terapie oncologiche spesso si rischia di essere travolti dalla sedentarietà, ma riprendere o adottare uno stile di vita attivo, insieme a una dieta corretta ed equilibrata, si traduce in un minor rischio di recidive e in un aumento della sopravvivenza rispetto a chi, dopo la diagnosi di tumore, rimane sedentario”.

La fragilità ossea dopo un tumore può essere indotta anche dalle terapie oncologiche – chiarisce Rossana Berardi, Ordinario di Oncologia Università Politecnica delle Marche, Direttrice Clinica Oncologica Ospedali Riuniti di Ancona –: nel 70-75% dei casi di carcinoma mammario per esempio il tumore è positivo ai recettori per gli estrogeni e/o del progesterone e le terapie ormonali, che sono efficaci e salvavita, hanno come effetto collaterale l’alterazione del tessuto osseo e un aumento del rischio di osteopenia e osteoporosi. “La fragilità dello scheletro e l’aumento del rischio di fratture è causato da un iper-riassorbimento osseo indotto dalla terapia ormonale adiuvante . L’approccio olistico alla paziente è pertanto determinante: la fragilità ossea può essere affrontata e prevenuta anche aiutandosi con l’esercizio fisico, ma le corrette abitudini da sole purtroppo non bastano. Serve anche una terapia farmacologica mirata a difesa delle ossa”.

Il sostegno farmacologico
“L’attività motoria giusta, adattata alle condizioni della paziente, potrebbe essere di grande aiuto anche nelle pazienti con tumore al seno e metastasi ossee. Un programma motorio con attività posturale specifica per migliorare agilità e atrofia muscolare potrebbe essere utile, tuttavia serve anche un sostegno farmacologico – conferma Alessandra Fabi, oncologa dell’Unità di Medicina di Precisione in Senologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS -Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma –. È importante provvedere a trattamenti specifici per ridurre l’incidenza di complicanze scheletriche da metastasi ossee (fratture, dolore, ipercalcemia, compressione midollare, necessità di radioterapia) con farmaci (bisfosfonati o l’anticorpo monoclonale denosumab e un giusto apporto di calcio e vitamina D”.

“Anche le terapie migliori se intraprese troppo tardi sono meno efficaci - sottolinea Giuseppe Procopio, oncologo dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano - iniziare prima possibile le ormonoterapie o chemioterapie più adeguate è fondamentale, anche nel tumore della prostata e anche per prevenire le complicanze scheletriche. Senza dimenticare che il futuro sarà sempre più della medicina di precisione con farmaci mirati a specifici bersagli, per esempio gli inibitori PARP nei pazienti che presentano mutazioni sui geni BRCA o la terapia metabolica radiorecettoriale marcata, dopo aver identificato target specifici con una PET. Con terapie sempre più precoci, efficaci e mirate, anche la salute delle ossa è più al sicuro”.


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