Medicina e ricerca

I diabetologi Sid al ministro Schillaci: l'accesso alle cure sia più equo e omogeneo

di Alessandra Ferretti

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"Le malattie sociali dai costi enormi come il diabete e l’obesità diventino priorità sanitarie". È l’appello rivolto al neoministro della Salute Orazio Schillaci dalla Società Italiana di Diabetologia (Sid) in apertura al suo 29mo Congresso nazionale, a Rimini dal 26 al 29 ottobre. Il documento di riferimento, cui si è richiamato nel suo discorso di inaugurazione il presidente della Società, Agostino Consoli, cui è succeduto Angelo Avogaro come da elezione avvenuta sabato, è stato il Patto parlamentare per il diabete, redatto da Sid insieme all’Associazione medici diabetologici a metà settembre e già indirizzato a tutte le forze politiche. «Il nostro obiettivo imprescindibile è quello di un più equo accesso alle cure per il diabete utilizzando sì nuove risorse, ma anche razionalizzando l'uso di quelle esistenti, a cominciare anzitutto dal Pnrr. A oggi infatti solo il 30% delle persone con diabete in Italia riceve assistenza specialistica e sicuramente non in un contesto multidiscplinare», spiega Consoli, professore ordinario di Endocrinologia e direttore Uoc di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo dell’Ausl di Pescara. E poi prosegue: «Chiediamo che obesità e diabete diventino una priorità di politica sanitaria a fronte della prevalenza che di fatto registrano nella popolazione. Poi, nell’ambito di questa attenzione, chiediamo che venga dato ascolto alle nostre istanze per una razionalizzazione del sistema, che nella fattispecie sono indirizzate alla ricerca di una maggiore equità nelle diverse Regioni». Di fatto spicca una forte disomogeneità a livello regionale e provinciale. «In un paese in cui la sanità è demandata alle regioni, è inevitabile che vengano ad esserci regioni più virtuose ed altre meno».
«Le nostre proposte sono chiare - specifica Consoli -. Primo, censire i centri di diabetologia presenti sul territorio per numero abitanti oppure per assistiti per stabilire massimali di afferenza. Secondo, potenziare i centri esistenti o cercare di aprirne dei nuovi che raccolgano gli specialisti, in modo da concentrare i servizi, dall’educazione agli screening delle complicanze, a tutto quello che può stare nel mezzo. Terzo, lo staff che opera nel Centro diabetologico deve poter essere in collegamento virtuale ma sinergico col medico di medicina generale o col medico della Casa della Comunità».
Piuttosto che avere il doppio dei centri presenti sul territorio con scarsità di professionisti al loro interno, per Sid è oltremodo preferibile avere "la metà dei centri ma col triplo dei professionisti ciascuno". «Se poi qualcuno dei pazienti in carico avrà bisogno di percorsi dedicati, si individueranno e si apriranno. Il neoministro attuale si è sempre caratterizzato per una vicinanza alle tematiche diabetiche e per questo siamo speranzosi di venire ascoltati», conclude Consoli.
«Il paziente cronico deve essere inserito in un percorso integrato ovvero in un team diabetologico che lo prenda in cura, non solo per prevenire a lungo termine la malattia, ma anche per evitare le complicanze nell’ottica di un bisogno di salute, più che di cura», specifica Angelo Avogaro, presidente eletto della Società italiana di Diabetologia, professore ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo e direttore del Dipartimento Funzionale Endocrino-Metabolico e del Rischio Cardiovascolare all’ Università di Padova.
«Questo si potrebbe tradurre in una maggiore diffusione della rete diabetologica attraverso la disponibilità dei circa 350 centri dedicati a cui afferiscano al massimo 15mila assistiti per centro. Al suo interno, va prevista la presenza di un team multidisciplinare per una gestione integrata del paziente. Servirebbero poi fondi per la formazione del personale (non solo medici, ma anche infermieri) e borse di specialità, in primis endocrinologiche e delle malattie del metabolismo». Il diabetologo rimane oggi la figura clinica di riferimento per la prevenzione cardiovascolare, perché tratta anche le patologie legate all’obesità, la prevenzione cardiovascolare, l’ipercolesterolemia, la pressione arteriosa.
«Il paziente affetto da diabete o a rischio di diabete – sottolinea il Presidente del Comitato scientifico di Sid, Massimo Federici, professore ordinario di Medicina Interna al Dipartimento di Medicina dei Sistemi dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata – necessita di un team multidisciplinare che vede nel diabetologo la regia per il raccordo con altri specialisti per la cura delle eventuali complicanze. I pazienti non in fase acuta possono essere seguiti dal territorio, grazie anche alla presenza dei centri polivalenti e agli strumenti di telemedicina, così come prevede il Pnrr secondo il modello dei livelli di cura: hub per i pazienti complicati e un livello di informatizzazione tale per cui tutti i membri del team abbiano accesso ai suoi dati. La digitalizzazione dei dati clinici significa condivisione e quindi possibilità di interventi più rapidi ed efficaci».
A oggi in Italia i pazienti affetti da diabete sono circa 5 milioni, per i quali l’aspettativa di vita è ridotta in media di 6 anni. I costi per il Servizio sanitario nazionale sono stimati in 14 miliardi di euro. L’età in cui il diabete di tipo 2 viene diagnosticato è quella superiore ai 50 anni. «Ma oggi assistiamo a un’anticipazione dello sviluppo dei sintomi di almeno 10-15 anni - precisa Federici -. Per questo ribadiamo l’importanza fondamentale della prevenzione e di tutte le modalità per diffonderla e farla applicare».


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