Medicina e ricerca

Convivere con lo scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata: un’indagine sulla qualità della vita

di Giorgio L. Colombo *, Giacomo M. Bruno *, M. Chiara Valentino *

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Tra le patologie cardiovascolari, lo scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata (HFpEF), rappresenta circa il 50% dei casi di scompenso cardiaco da cui sono affetti circa un milione di pazienti in Italia, per tale ragione è stato condotto in questi mesi uno studio sulla soddisfazione di cura e sulla qualità della vita dei pazienti affetti da scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata e da altre comorbidità. Il dato che colpisce maggiormente è relativo alla media di 12 mesi che separano la comparsa dei sintomi e la diagnosi, con una grande differenza sia a livello di genere (16 mesi nelle donne vs 8 mesi negli uomini) sia territoriale. Altro risultato interessante è che il 50% dei pazienti ha dichiarato di aver subito perdite di lavoro fino a circa 21 giorni all’anno. Lo scompenso cardiaco si è dimostrato essere una condizione invalidante per i pazienti limitando le attività quotidiane ed i rapporti con altri soggetti inducendo costi di natura sanitaria non indifferenti, è infatti la prima causa di ospedalizzazione e ri-ospedalizzazione (con conseguente impatto sulla qualità di vita del paziente). Risulta quindi fondamentale delineare un nuovo modello di assistenza domiciliare, territoriale e ospedaliera grazie all’implementazione delle nuove tecnologie di teleassistenza e telemedicina come risorse che integrano e non sostituiscono il rapporto con il medico curante e il team multidisciplinare al fine di portare l’attenzione delle Istituzioni e dell’opinione pubblica su quanto gravemente la malattia pesi sulle persone affette, anche al fine di migliorare gli interventi di prevenzione, di cura e di assistenza.
L'indagine è stata realizzata dal centro di ricerca S.A.V.E. Studi Analisi Valutazioni Economiche s.r.l., con il coordinamento del prof. Giorgio Lorenzo Colombo dell’Università degli Studi di Pavia, in collaborazione con Aisc Aps, con la partecipazione di Conacuore Odv, AipBpco Onlus, Fand - associazione italiana diabetici Odv e grazie al contributo incondizionato di Boehringer-Ingelheim Italia e di Eli Lilly Italia. La raccolta dati è avvenuta tramite una survey online a cui hanno partecipato 143 soggetti affetti da scompenso cardiaco. L’obiettivo finale di questa indagine è stato quello di realizzare un approfondimento scientifico sull’impatto che questa condizione genera sulle occupazioni e sulla qualità della vita, oltre che sui percorsi sanitari, al fine di identificare eventuali bisogni sanitari insoddisfatti, premessa per una migliore gestione della condizione dei pazienti. È emersa infatti una grossa mancanza di dati in letteratura sul percorso e vissuto del paziente scompensato e comorbido. Partendo dai dati rilevati dalla survey somministrata a pazienti scompensati e comorbidi, che descrive il vissuto del paziente, si è voluta promuovere una condivisione dei risultati emersi tramite un Patient Advisory Board, al fine di riflettere su possibili soluzioni cliniche e organizzative con focus in particolare sul percorso dalla diagnosi alla cura, situazione lavorativa, impatto economico e produttività, qualità della vita, impatto sociale e psicologico. Hanno partecipato al Patient Advisory Board Dott.ssa Manuela Bertaggia – Vicepresidente Associazione Italiana Diabetici (Fand Odv), Prof. Salvatore D’Antonio – Presidente Associazione Broncopneumopatia Cronico Ostruttiva (AipBpco Onlus), Prof. Francesco Dentali, Presidente Eletto Federazione delle Associazioni Dei Dirigenti Ospedalieri Internisti (Fadoi), Dott.ssa Maria Rosaria Di Somma, Consigliere Associazione Italiana Scompensati Cardiaci (Aisc Aps), oltre al Prof. Giorgio L. Colombo che ha svolto il ruolo di moderatore e al team del Centro di ricerca S.A.V.E. composto dal Prof. Giacomo M. Bruno e della Dott.ssa M. Chiara Valentino che hanno presentato i risultati della Survey.
La discussione del Patient Advisory Board si è svolta intorno ai seguenti focus tematici principali: il percorso dalla diagnosi alla cura, la situazione lavorativa, l’impatto economico e la produttività ed infine la qualità della vita, l’impatto sociale e psicologico. Il campione ha presentato le seguenti caratteristiche: dei 143 soggetti partecipanti, gli uomini erano il 70% del campione con un’età media pari a circa 67 anni; il 70% dei rispondenti è risultato essere coniugato o convivente e nella stessa percentuale ha conseguito il diploma di scuola media superiore o la laurea. Tra le prime domande presenti nel questionario vi era un quesito con cui veniva chiesto ai pazienti se il medico avesse specificatamente diagnosticato uno scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata, il 20% del campione non ha risposto e dei rispondenti, il 45% ha risposto affermativamente. La significativa quota dei non rispondenti sembra essere indice dell’esistenza di una vasta area di pazienti che non sono a piena conoscenza delle proprie condizioni di salute; forse per una cautela del personale sanitario nel fornire informazioni al fine di non innalzare il livello di ansia dei pazienti. Il paziente con scompenso cardiaco è sicuramente un paziente comorbido e questo è stato confermato anche da quanto emerso dalla survey, infatti, nel 91% dei casi i pazienti sono affetti anche da altre patologie croniche con una media di 2,5 patologie per paziente. Le 5 patologie con maggiore frequenza sono risultate essere ipertensione arteriosa, Bpco, diabete mellito, cardiopatia ischemica e fibrillazione atriale e circa un quarto del campione ha dichiarato di essere affetto da 4 o più patologie concomitanti.
Nella prima sezione del questionario si sono indagati i tempi di latenza tra percezione della sintomatologia legata allo scompenso da parte del paziente e la comunicazione della diagnosi da parte del medico. Alla domanda ha risposto circa l’80% degli intervistati, segno dell’attenzione che l’insorgenza e la gravità della sintomatologia ha suscitato nei pazienti. È risultata una media di 10 mesi tra comparsa dei sintomi e diagnosi, periodo più lungo nelle donne 16 mesi vs 8 mesi degli uomini. Al nord il tempo di latenza è dimezzato probabilmente questo è un segno di una rete sanitaria più diffusa e completa. È emersa da parte di tutti i partecipanti al Patient Advisory Board la necessità di fare qualcosa per ridurre il ritardo diagnostico perché ciò si traduce inevitabilmente in una prognosi differente per i pazienti. Ci si è chiesti quali siano le possibili soluzioni per ridurre questo tempo. Una strada è quella del maggior empowerment del paziente anche in ottica di sanità digitale, tele monitoraggio e telemedicina, dal lato dei medici è invece necessario uno sforzo per una più precoce individuazione della patologia, infatti, il più delle volte lo scompenso cardiaco viene scoperto in fase acuta quando il paziente si reca al pronto soccorso, perché spesso precedentemente i sintomi vengono confusi con altre patologie. Questi temi sono presenti nelle agende delle Associazioni Pazienti, che hanno molto a cuore i temi della prevenzione, della formazione e informazione del paziente (e del caregiver) per una miglior conoscenza della patologia e riconoscimento dei sintomi.
La seconda parte della survey e della discussione si è focalizzata sulla rilevazione di alcuni indicatori che potessero costituirsi quali misura degli effetti della patologia sulle attività di lavoro (sempre con riferimento ad eventi avvenuti negli ultimi 6 mesi). La condizione di scompenso può portare anche a cambiare le proprie attività lavorative in termini di modifica di mansioni, riduzione tempo lavoro, cambio azienda, circa il 50% dei rispondenti ha dichiarato perdite di lavoro con incidenze maggiori nella fascia di età più giovane e nei residenti al sud. Si sono contati circa 21 giorni di giornate lavorative perse a testa per i rispondenti e l’avere patologie concomitanti è risultato essere statisticamente significativo. Tale dato fa venire a galla un problema di organizzazione del nostro Sistema Sanitario che non mette il paziente e il suo caregiver in condizione di ottimizzare e ridurre al minimo i tempi di assistenza, con un così grande divario tra sud centro e nord. I costi che si generano non sono solo costi sociali, il paziente che non viene curato adeguatamente nella fase iniziale passa alla fase acuta con conseguenti costi relativi alle ospedalizzazioni. L’Italia vanta la popolazione più anziana d’Europa ma risulta la nazione con meno giorni liberi da malattia di tutta Europa. Questo è un dato preoccupante e degno di essere portato all’attenzione delle istituzioni.
L’indagine ha infine rilevato l’impatto dello scompenso cardiaco sul livello di qualità della vita. Il dolore incide in maniera importante sulla qualità della vita delle persone, specie quando le strategie antidolorifiche falliscono: alti livelli di dolore fisico impediscono, poi, possibilità di azione, di attività quotidiana, di movimento e di riposo. Oltre una persona su 5 (22,3%) ha dichiarato di soffrire dolore moderato e circa una persona su 8 (14,1%) si è autovalutata con dolore serio o addirittura estremo. E’, quest’ultima, una quota di entità preoccupante, su cui più è importante destinare risorse per lenire o bloccare la degenerazione delle condizioni di vita. La degenerazione del proprio stato di salute e le restrizioni a cui la patologia costringe i pazienti determinano un impatto sui livelli di ansia o di depressione. Lo scompenso cardiaco si dimostra, così, una condizione relativamente invalidante per i pazienti, che, oltre a colpire la possibilità di compiere le attività quotidiane e di vivere pienamente rapporti con altri soggetti, induce costi di natura sanitaria non indifferenti. Lo scompenso cardiaco è la prima causa di ospedalizzazione e ri-ospedalizzazione ed è una patologia che ad oggi è curata a livello ospedale centrico, manca la possibilità di curare il paziente sul territorio. Più il malato scompensato va in ospedale più si accorcia la sua durata di vita, questo il malato lo sa ed entra in uno stato di ansia che si aggiunge alla paura di entrare nella fase acuta. L’ansia è inoltre dovuta alla complessa terapia che prende il paziente (circa 15-16 terapie al giorno). Questo stato di stress che il paziente già viveva quotidianamente è stato portato allo stremo dalla pandemia, a causa della ridotta possibilità di fare riferimento al Medico di Medicina Generale, ai mancati accessi agli ambulatori per le visite specialistiche, unito alla paura di recarsi al Pronto Soccorso. La partecipazione del paziente all’Associazione che permette il poter fare network, il confrontarsi, aiuta in maniera considerevole il paziente nel portare avanti con maggiore leggerezza la propria malattia. Da non dimenticare poi l’importanza del dialogo tra medico e paziente, il paziente formato e informato è un valore anche per il medico perché il dialogo diventa molto più scorrevole e comprensibile; una migliore comunicazione tra medico e paziente migliora anche l’aderenza alle indicazioni terapeutiche, ad una scarsa comunicazione corrisponde infatti una bassa aderenza.
Si delinea preponderante la necessità di una sanità del territorio; si auspica che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), che introduce l’assistenza sul territorio, venga attuato nel miglior modo possibile e, soprattutto, che ci sia dialogo tra assistenza territoriale e rete ospedaliera. È emersa in questa sede la proposta di creare ambulatori dedicati alla patologia per la presa in carico, soluzione interessante in una logica di crescita del territorio con il medico internista quale elemento centrale e di coordinamento in grado garantire continuità e cura ai pazienti con scompenso cardiaco.
Alla luce delle informazioni delineate dalla presente indagine è emersa l’esigenza di una "call to action" delle associazioni pazienti insieme ai clinici e alle società scientifiche per sensibilizzazione istituzionale. Il plus di questo studio è stato proprio quello di far emergere il lato del paziente che ad oggi manca in molte analisi e grazie a pazienti sempre più consapevoli, soprattutto se riuniti in Associazioni, emerge ancora di più l’importanza di portare queste informazioni in sede istituzionale per mettere in atto i miglioramenti proposti. È giusto parlare di rafforzamento e di empowerment sul territorio ma poi bisogna riempire di contenuti e di modelli nuovi di lavoro e organizzativi.

* Centro di ricerca S.A.V.E. Studi Analisi Valutazione Economica, Milano


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