Medicina e ricerca

Fibromialgia: 2 milioni di pazienti in Italia, +15% nel post-Covid. Subito nei Lea per le malattie croniche

di Arturo Cuomo*

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24 Esclusivo per Sanità24

La fibromialgia – di cui in Italia si stimano circa 2 milioni di casi – è una sindrome caratterizzata da stanchezza e soprattutto dolore diffuso a muscoli e articolazioni. Secondo un recente studio israeliano pubblicato su PLOS ONE è anche una frequente conseguenza del Covid-19: la sviluppa il 15% di chi è stato ricoverato per l’infezione, una percentuale che sale al 26% nel sesso femminile dove la sindrome è molto più comune, colpendo in generale le donne in 9 casi su 10. Dopo Covid-19 il rischio di fibromialgia è cinque volte più alto rispetto al normale e anche per questo è importante aumentare l’attenzione per una malattia ‘invisibile’, che spesso richiede anni prima di arrivare alla diagnosi ma che compromette molto la qualità di vita. Tuttora la fibromialgia non è inclusa negli elenchi ministeriali delle patologie croniche e quindi non è nei Livelli Essenziali di Assistenza. Per questo in occasione del XII Corso di Alta Formazione sul dolore acuto e cronico, dalla ricerca alla clinica che abbiamo organizzato dall’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli, e che si è aperto oggi, chiediamo alle Istituzioni di puntare i riflettori su questa sindrome, in modo che venga facilitata una diagnosi tempestiva e quindi garantita una presa in carico assistenziale adeguata, in centri con esperienza.
I numeri pubblicati su PLOS One sono certamente interessanti soprattutto se correlati alle problematiche legate alla fibromialgia, il cui sintomo cardine è il dolore cronico, riferito come una sorta di tensione muscolare localizzata in alcune zone, come collo, spalle, schiena e gambe, oppure diffuso; il dolore può diventare disabilitante e spesso si associa a stanchezza, disturbi del sonno e altri sintomi fra cui ansia e depressione, che a lungo hanno portato a considerare la fibromialgia come una somatizzazione di disagi psichici che invece ne sono una conseguenza. Le cause non sono note, ma oggi esistono criteri diagnostici condivisi: è molto importante escludere altre malattie che possano essere causa del dolore ed egli altri sintomi, valutando la storia del paziente e soprattutto la durata del dolore e i ‘trigger points’, i punti dolenti che nel paziente con fibromialgia sono almeno 11 su 18 punti chiave totali.
Un altro lato meno conosciuto riguarda l’impatto psichico della fibromialgia. Nel nostro centro al Pascale, così come in tutti gli analoghi Centri italiani di alta specialità, si pone particolare attenzione alla presa in carico globale dei pazienti intervenendo non solo sulla componente fisica ma anche sull’aspetto psicologico, grazie ad un team multidisciplinare. Oggi sappiamo, per esempio, che la depressione può essere una conseguenza della fibromialgia. Ma a lungo i pazienti sono stati ritenuti ‘malati immaginari’, che somatizzavano disagi psicologici. Non è così e lo dimostra anche l’efficacia di alcuni antidepressivi in pazienti selezionati, con fibromialgia e depressione. La terapia può includere anche miorilassanti e antidolorifici, ma i trattamenti sono per lo più non farmacologici e soprattutto personalizzati, con interventi sullo stile di vita, educativi e psicoterapeutici.
Ribadisco che purtroppo la fibromialgia non è inclusa nell’elenco delle patologie croniche e quindi nei LEA: i pazienti non hanno diritto a esenzioni per visite, esami e terapie e questo complica non poco la gestione della sindrome, per la quale sarebbe importante creare percorsi adeguati così da ridurre i tempi per la diagnosi e garantire una presa in carico assistenziale adeguata in centri con esperienza nel campo.

*Direttore della Struttura Complessa di Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli


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