Medicina e ricerca

Demenza : l'importanza per i caregiver di riconoscere i primi campanelli d'allarme

di Domenico Carratelli*

S
24 Esclusivo per Sanità24

C’è un uomo di 80 anni, che ogni mattina porta la colazione a sua moglie, ricoverata in una struttura per anziani, perché malata di Alzheimer. “Sua moglie si preoccuperebbe, se un giorno non venisse a portarle la colazione?”, gli chiedono. Lui scuote la testa: “Lei non ricorda. Non sa neanche chi sono, sono cinque anni che non mi riconosce più”. “E lei continua lo stesso a portarle la colazione?”. L’uomo sorride, guarda la moglie negli occhi e le stringe la mano: “Lei non sa chi sono io, ma io so chi è lei”. È una storia, una delle tante, che fa capire l'importanza non solo sotto il profilo affettivo, ma anche assistenziale, della figura del "caregiver". Cioè della persona, parente o meno, che si prende cura di un paziente con disturbi della sfera cognitiva. Una figura decisiva, spesso testimone dei primi sintomi, che mettono in allarme e che debbono portare al consulto medico. In Italia, secondo i dati dell’AIMA, Associazione italiana malattia di Alzheimer, si stima che i nuovi casi di demenza siano circa 150.000 ogni anno. I nuovi malati di Alzheimer annualmente diagnosticati sono circa 70.000, con un totale di 650.000 casi, curati a casa per quasi tutta la durata della malattia. Le persone coinvolte nell’assistenza sono circa 3 milioni, soprattutto donne. Il costo annuo della malattia di Alzheimer in Italia è stimato oltre i 15 miliardi di euro. Circa l’80% sono costi diretti e indiretti che pesano su famiglia e caregivers.

I parenti o le persone incaricate dell’assistenza dovrebbero saper riconoscere i segnali di allarme di una demenza incipiente. Rendersi conto, cioè, di trovarsi di fronte a un Mild Cognitive Impairment (MCI) cioè il deterioramento cognitivo lieve (stadio di pre-demenza). In questi casi si assiste al declino di una funzione mentale (in primis , la memoria), ma, a differenza della demenza conclamata, questa è di entità tale da non interferire con l’autonomia della persona. Il paziente fa ricorso a “strategie” non utilizzate in passato (biglietti, suonerie, calendari) per ricordare scadenze o elenchi (come la lista della spesa). È spesso preda dell’ansia o di un’inusuale preoccupazione in occasione di cambiamenti di programma o di situazioni che si discostano dalle abitudini. Si verifica, poi, una riduzione di impegno nello svolgimento di tutte quelle attività di cui ci si interessava in passato, con un atteggiamento rinunciatario di fronte a compiti impegnativi, abitualmente gestiti senza problemi. Si va in crisi nell’imparare e ricordare nuove informazioni, nell’eseguire compiti complessi, nel ragionare, orientarsi, parlare. Si fatica a tenere comportamenti adeguati e si va in confusione nel riconoscere volti familiari (la prosopoagnosia). Infine, spesso compare un senso di immotivata tristezza. Ma i caregiver sanno bene anche cosa comporta il decorso della malattia. C’è una fase iniziale in cui prevalgono i disturbi di memoria a breve termine (dismnesie /amnesia) e dei calcoli matematici semplici, ma possono essere presenti anche disturbi del linguaggio (afasia). Poi difficoltà nello svolgere le normali attività di tutti i giorni, con peggioramento progressivo della suddetta sintomatologia e insorgenza anche di elementi psicotici, come deliri e allucinazioni. La fase severa implica, invece, una completa perdita dell’autonomia con difficoltà nell’alimentazione, nella comunicazione, nella deambulazione. Compare anche incontinenza sfinterica.

Purtroppo, ad oggi, non esistono metodi certi di prevenzione, la malattia è inguaribile e inarrestabile. Esistono e sono prescrivibili, invece, cure sintomatiche per i sintomi cognitivi e comportamentali. Sono necessarie, nelle prime fasi, terapie farmacologiche: composti inibitori degli aggregati proteici per rallentare lo sviluppo della malattia, uso di terapie ormonali sostitutive, antiinfiammatori non steroidei ed antidepressivi. Ma sono importanti anche le terapie relazionali, finalizzate al contenimento dei sintomi, al mantenimento delle funzioni residue, con la rehorientation therapy e, fondamentali, le terapie occupazionali, tese al miglioramento della qualità di vita. In ogni caso, più la diagnosi è precoce, più la finestra terapeutica sarà significativamente ampia.

In Korian, poniamo molta attenzione alle terapie non farmacologiche e riabilitative, che continuano a essere le più importanti nel recupero delle capacità residue del paziente, rispettando la qualità della vita dello stesso. Da alcuni anni portiamo avanti "Fermata Alzheimer", un’iniziativa che punta a curare, attraverso incontri e riunioni a tema, gli aspetti di informazione clinico-diagnostica nei confronti di operatori, parenti e caregiver, con l’obiettivo di migliorare l'assistenza quotidiana al paziente, trattando e riproponendo anche le caratteristiche logistico-abitative ed ambientali per la maggior ottimizzazione possibile della vita quotidiana del paziente.

*Neurologo, geriatra, fisiatra, medico responsabile RSA Korian S. Giuseppe - Roma


© RIPRODUZIONE RISERVATA