Sentenze

Paziente danneggiato, se la cartella clinica è incompleta vale la presunzione

di Selene Pascasi

Se la cartella clinica è incompleta, il paziente danneggiato dal medico può ricorrere anche a presunzioni per provare lesione e nesso con la condotta del sanitario. Lo afferma il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 3612 del 5 luglio 2017. A chiamare in causa la Asl, per ottenere il risarcimento del danno da responsabilità sanitaria, sono i genitori di un bimbo, nato da cesareo. Il piccolo, sottolinea il legale della coppia, aveva patito un'asfissia prenatale che gli aveva causato danni permanenti: encefalopatia, epilessia e paralisi. E a risponderne, dovevano essere i medici che, non accortisi tempestivamente della sofferenza, avevano ritardato il parto. La cartella clinica, poi, redatta con approssimazione, salvo la diagnosi, non riportava né i controlli eseguiti sulla gestante, né le condizioni del bebé. Carenze gravi per il Tribunale, che accoglie la domanda. La consulenza medico-legale aveva confermato sia le patologie del neonato, che la compatibilità con la sofferenza preparto. Ebbene, se per sancire la responsabilità del medico, spetta al danneggiato provare il nesso causale tra l'omissione sanitaria e il danno, tale prova – ricorda il giudice siciliano – può dirsi raggiunta se «da un lato non vi sia certezza che il danno cerebrale patito dal neonato sia derivato da cause naturali o genetiche e, dall'altro, appaia più probabile che non che un tempestivo o diverso intervento da parte del medico avrebbe evitato il danno». E fornita tale prova – sottolinea costante giurisprudenza (Cass. 11789/2016) – sarà onere del medico «dimostrare la scusabilità della propria condotta».

Nella vicenda, però, le scarse informazioni annotate in cartella non consentivano di acquisire elementi specifici che avrebbero potuto documentare pregresse alterazioni o anomalie della partoriente, difetti genetici del feto o cause naturali del danno cerebrale. D'altro canto, ricordano i giudici di legittimità, la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non potrebbe mai finire per pregiudicare, sul piano probatorio, il paziente danneggiato (Cass. 6209/2016). Anzi, proprio per tale ragione – essendo impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte accusata di responsabilità medica – al paziente sarà permesso, per il principio della “vicinanza della prova” ricorrere persino a presunzioni. Soluzione valida, peraltro, non solo ai fini dell'accertamento dell'eventuale colpa del sanitario, ma anche per l'individuazione del nesso eziologico fra la condotta contestata e le conseguenze dannose subìte. Ebbene, nella vicenda, il tragico accaduto non poteva che addebitarsi all'operato dei sanitari per aver omesso di effettuare quel corretto e periodico monitoraggio che avrebbe quantomeno consentito loro di sospettare l'insorgenza della sofferenza e, di conseguenza, indurli ad attivarsi immediatamente con il parto cesareo. Del resto, neanche la Asl aveva provato il regolare adempimento della prestazione sanitaria, la corretta vigilanza o lo svolgimento dei doverosi controlli medici sulla gestante. Queste, le ragioni per cui il Tribunale di Palermo condanna l'azienda a sborsare più di 1.915.000 euro come risarcimento del danno, circa 1.300 euro mensili a titolo di rendita vitalizia in favore del bambino, e 300 mila euro a ciascun genitore.


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