Imprese e mercato

Competenze e ricerca, la via italiana per la ripresa

di Stefano Manzocchi (da Il Sole-24Ore)

La debolezza del nostro potenziale di crescita è forse il cuore dei problemi economici nazionali e - anche se non abbiamo ricette complete, semplici e condivise su come rafforzarlo - l'incentivo e il sostegno all'accumulazione di capitale immateriale costituiscono tasselli fondamentali per ricomporre il puzzle dello sviluppo italiano. Le aspettative delle imprese sul Patent box come tassello di una politica industriale più avanzata, quindi, non sorprendono, ma sottolineano, da un lato, la necessità che questa misura sia ben realizzata e si inscriva in un disegno più ampio, coerente e aggiornato del ruolo dell'attore pubblico, e d'altro lato il ritardo decennale con cui l'Italia si muove in questa direzione.
Ormai la centralità del ruolo del capitale intangibile come motore di sviluppo e benessere è riconosciuta, sia per i Paesi avanzati che si trovano sulla frontiera tecnologica e organizzativa, sia per i Paesi emergenti o “emersi” che non possono più affidarsi solo al trasferimento passivo di modelli esteri, per esempio attraverso il canale delle imprese multinazionali. Non è un caso che l'elemento più rilevante della recente revisione delle statistiche del Pil statunitense sia la nuova stima del contributo del capitale intangibile; né che proprio nel mezzo di una transizione complessa verso una crescita meno trainata dall'export, le economie asiatiche stiano investendo molto in capitale umano e immateriale (ricerca e sviluppo, brevetti, software, progettazione, capitale manageriale e altro).
La varietà dei sistemi di innovazione è enorme, come anche la complessità dei nessi tra territorio, ricerca e sviluppo, e catene del valore. Come hanno dimostrato settimana scorsa le giornate del «Viaggio nell'Italia che innova», sulle peculiarità e sui successi del sistema innovativo emiliano-romagnolo, le caratteristiche degli attori privati e pubblici, gli incentivi a innovare sia espliciti sia impliciti, la storia stessa del sistema territoriale e il costante sforzo di rinnovamento sono tutti ingredienti del successo di un “modello”, ma lo rendono anche in buona parte unico e difficile da replicare. Per disegnare buone politiche, tuttavia, non si può che prendere atto di alcuni elementi del contesto internazionale e italiano.
Un recente rapporto di Oxford Economics e Hsbc ( Trade Winds: Shaping the Future of International Business ) delinea i caratteri della globalizzazione nei prossimi trent'anni. Al netto di tutte le crisi e peccando forse di eccessivo ottimismo, lo studio evidenzia alcuni caratteri evolutivi degli scambi mondiali cui stiamo già assistendo: progressiva rilevanza dei servizi a elevato valore aggiunto nel complesso dei commerci, ruolo crescente delle transazioni di prodotti in formato digitale, ruolo delle stampanti 3D nei beni personalizzati. Sviluppi dove il capitale intangibile è al centro della creazione di valore.
Per quanto concerne l'Italia, abbiamo trascurato la centralità dell'accumulazione di capitale immateriale ben prima della crisi della seconda metà degli anni 2000 (si vedano i grafici). Una nuova politica industriale non può che invertire questa tendenza, assumendo al contempo le specificità del nostro modello: per esempio, il ruolo che da noi svolge la creazione di valore con marchi e design è stato opportunamente previsto nella legislazione del Patent box e andrà sostenuto in sede comunitaria. Ed è assai opportuna l'attenzione alle Pmi in un contesto come il nostro dove rileva molto l'innovazione incrementale, diffusa e spesso di difficile codificazione (capitale organizzativo, formazione, progetti) e nel quale le Pmi sono parte-chiave del tessuto produttivo. Pmi che altri Paesi tutelano e riconoscono come fondamentale anche per gli appalti pubblici e il credito d'imposta per la ricerca (Stati Uniti e Gran Bretagna da sempre; la Francia più di recente) e che il capitale immateriale consente di rivisitare anche con le start up che sono sovente i veri attori dell'innovazione in alcuni settori (in molti casi nel pharma, per esempio).
Per quanto concerne il ruolo dell'attore pubblico la strada è quella di meno dirigismo e più liberazione di energie degli attori privati. Le esperienze negative che da noi si sono registrate in passato suggeriscono quando possibile di privilegiare gli interventi “orizzontali”. Servono comunque nuove competenze nella Pa con capacità e autorevolezza per valutare i progetti, e abbiamo disperatamente bisogno di costruire in Italia una cultura più condivisa della valutazione anche per poi confrontarci con altre culture. Il Patent Box funzionerà anche a condizione che i criteri della valutazione per l'ammissibilità delle richieste siano semplici e la loro applicazione fluida.
Quello di una efficace (e, per quanto possibile, condivisa) cultura della valutazione è un obiettivo che qualsiasi pubblica amministrazione dovrebbe porsi. La carenza di quella cultura alimenta, a ben vedere, una distorsione che da tempo alberga da noi: la tendenza a privilegiare spesso l'investimento materiale pubblico e privato, più facilmente certificabile rispetto a quello immateriale. Meglio investire in strade che in competenze, insomma, anche se questo ci priva poi delle conoscenze idonee a realizzare bene e valutare in modo adeguato anche i progetti di viabilità. Un circolo vizioso da interrompere al più presto, perché il mondo va in direzioni diverse.


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