Lavoro e professione

Mobilità solo per un dipendente su cento

di Arturo Bianco

La mobilità volontaria interessa un numero ridotto di dipendenti pubblici ed è in genere limitata entro i confini del singolo comparto. Negli anni che vanno dal 2010 al 2013 essa è stata in lieve calo, mentre si sono registrati lievi incrementi per la mobilità temporanea, cioè comandi e distacchi. Sono queste le indicazioni di maggiore rilievo che si possono ricavare dai dati elaborati dall'Aran sull’ultilizzo di questo strumento nei vari comparti del pubblico impiego contrattualizzato.

Il monitoraggio
I dati si riferiscono agli anni dal 2010 al 2013 e provengono dalle rilevazioni della Ragioneria generale dello Stato-Igop. La percentuale di dipendenti pubblici contrattualizzati interessati dalla mobilità volontaria è stata nel 2010 dello 1,74%, nel 2011 dello 1,42%, nel 2012 dello 1,30% e nel 2013 dello 1,63%. In valore assoluto si passa da 48.453 mobilità in entrata e 53.466 in uscita nel 2010 a, rispettivamente, 43.967 e 49.268 nel 2013. Come si vede sono cifre assai ridotte, che di fatto si riducono ancora di più se si considera che nei conti sono comprese anche le mobilità temporanee.

I confini
La stragrande maggioranza delle mobilità avviene all'interno dello stesso comparto. Si deve considerare che, complessivamente, le mobilità temporanee (comandi e distacchi) interessano nel complesso del pubblico impiego contrattualizzato appena 17.497 dipendenti nel 2013 per quelli in uscita e 12.422 per quelli in entrata. Sono ancora più basse le cifre della mobilità volontaria nel comparto regioni ed enti locali. In valore percentuale si passa infatti dal 2,34% di personale interessato alla mobilità in uscita nel 2010 allo 1,99% nel 2013. E, per la mobilità in entrata, si passa dallo 1,89% del 2010 allo 1,45% del 2013. In valore assoluto la mobilità in entrata ha interessato 9.610 dipendenti nel 2010 e 6.913 nel 2013. Per quella in uscita si passa da 11.892 dipendenti nel 2010 a 9.503 nel 2013.

Gli ostacoli
Alla base dello scarso ricorso a questo istituto vi sono la mancanza di forme di incentivazione, tanto per le amministrazioni quanto per i dipendenti; la conseguenza è che il pubblico impiego è ancora caratterizzato da un elevato grado di rigidità negli spostamenti al proprio interno, soprattutto tra i diversi comparti. Una spinta potrebbe arrivare dal decreto con le tabelle di equiparazione, atteso per domani in Conferenza unificata come anticipato sul Quotidiano degli enti locali e della Pa di ieri, ma i problemi operativi restano numerosi.
Si deve inoltre evidenziare l'effetto di freno che ha la necessità di acquisire comunque il nulla osta o parere favorevole da parte della propria amministrazione. In particolare, per la mobilità in uscita pesano in misura assai rilevante le conseguenze non positive in termini di possibilità di sostituzione. I risparmi derivanti dalle mobilità in uscita non possono essere utilizzati per finanziare nuove assunzioni se la mobilità riguarda passaggi tra pubbliche amministrazioni che hanno vincoli alle assunzioni a tempo indeterminato (cioè la stragrande maggioranza delle Pa, tra cui tutti gli enti locali), per cui l'unico modo attraverso cui un ente può sostituire un dipendente trasferito in mobilità è di fatto costituito dall'assunzione tramite mobilità volontaria: il che in molti casi vuol dire che il dipendente non viene sostituito.


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