Medicina e ricerca

Sclerosi laterale amiotrofica, studio italiano apre a nuove possibilità di cura

di Prof Maurizio Inghilleri (Dipartimento di Neurologia e psichiatria Policlinico Universitario Umberto I, Università di Roma “Sapienza”) dott.ssa Eleonora Palma (dipartimento di Fisiologia e Farmacologia V. Erspamer)

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La sclerosi laterale amiotrofica (Sla), conosciuta anche come morbo di Lou Gehrig, dal nome del giocatore di baseball americano che ne fu affetto, è una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni, provocando una paralisi progressiva e irreversibile della muscolatura, con una perdita della normale capacità di deglutizione (disfagia), dell’articolazione della parola (disartria) e del controllo dei muscoli scheletrici, fino ad arrivare alla compromissione dei muscoli respiratori. La Sla è considerata una malattia rara in quanto ne sono affetti circa 3 individui su 100.000 con un’età media all’esordio di circa 60 anni, anche se recentemente sono in aumento i casi al di sotto di questa età.

È considerata da tutto il mondo scientifico una malattia dei motoneuroni, cioè delle cellule nervose che trasmettono il segnale nervoso dal cervello al midollo spinale (primo motoneurone) e dal tronco dell’encefalo e dal midollo spinale ai muscoli (secondo motoneurone). Entrambi questi motoneuroni degenerano e muoiono rapidamente compromettendo la capacità di contrazione di tutta la muscolatura scheletrica fino alla paralisi completa. Circa il 90% dei casi di Sla è affetto da una Sla sporadica in cui non c'è nessuna familiarità genetica, mentre solo il 5-10% delle Sla sono riconducibili a mutazioni genetiche. Le cause della Sla sono tutt’ora in gran parte ignote, anche se sono state avanzate alcune ipotesi come fattori di rischio ambientali o accumulo di proteine anomale all'interno dei motoneuroni. Purtroppo fino ad ora non è stata individuata nessuna terapia efficace, tranne il riluzolo che agisce sul metabolismo di un neurotrasmettitore, il glutammato, rallentando di poco la progressione della malattia. La morte sopraggiunge per blocco dei muscoli respiratori e, nella maggior parte dei casi, non è associata a nessuna alterazione delle capacità cognitive e sensoriali.

Recentemente diversi studi hanno descritto alterazioni muscolari che precedono le anomalie del motoneuroni. Il punto di forza del nostro studio pubblicato recentemente sulla prestigiosa rivista PNAS, è la sua natura traslazionale, resa possibile dalla forte sinergia tra clinica e ricerca di base e dal fatto che presso il Policlinico Universitario sono attualmente seguiti circa 260 pazienti. La ricerca biomedica sulla Sla si dovrebbe muovere “from bench to bedside”, cioè “dal bancone del laboratorio al letto del paziente”, ma anche viceversa: informazioni che arrivano dal laboratorio possono essere tradotte in strumenti utili per la pratica clinica di tutti i giorni, ma è altrettanto vero che le informazioni dai clinici offrono, a chi fa ricerca di base, molti spunti di riflessione.

Il nostro lavoro ha coinvolto il dipartimento di Neurologia e Psichiatria e il dipartimento di Fisiologia e Farmacologia dell'Università Sapienza di Roma, in collaborazione con l'Università della California, e ha posto l’accento sul ruolo del muscolo come target terapeutico nella Sla. Sono stati arruolati 76 pazienti affetti da Sla, e 17 pazienti con quadro di denervazione causato da altre patologie presso il Centro malattie neuromuscolari rare del Policlinico Umberto I. Abbiamo effettuato delle piccole ago-biopsie muscolari da questi pazienti. Con una tecnica particolarmente innovativa abbiamo microtrapiantato membrane muscolari, ottenute da tali biopsie in cellule uovo (oociti) di una rana del genere Xenopus.
Grazie alla capacità di questi oociti di fondere le proteine native del paziente sulla propria membrana, è stato possibile comparare l'espressione del recettore nicotinico muscolare (AChR) derivante dai muscoli Sla con quella derivante da muscoli di pazienti denervati in seguito a trauma o altre patologie neurologiche.
Mediante l’utilizzo di specifiche tecniche elettrofisiologiche, è stato inoltre possibile studiare gli effetti di una sostanza con proprietà antiinfiammatorie, la palmitoiletanolamide ultramicronizzata (um-PEA), il cui effetto sulla forza muscolare di un paziente era sembrato incoraggiante, sulle correnti dovute all'attivazione del recettore nicotinico muscolare. Tale attivazione è alla basa della contrazione muscolare di tutta la muscolatura volontaria. Dai nostri risultati è chiaro che um-PEA è in grado di migliorare l'attivazione del recettore dell'acetilcolina durante ripetute stimolazioni. Inoltre abbiamo visto che nei muscoli dei pazienti SLA il recettore dell'acetilcolina è risultato alterato per un'aumentata espressione di una subunità che lo compone, la subunità alpha, aberrazione che riduce la sensibilità alla stimolazione da parte dell’acetilcolina stessa.
Dal punto di vista clinico il trattamento di circa sei mesi con um-PEA si è dimostrato in grado di ridurre nei pazienti Sla il declino della loro capacità vitale forzata (FVC), con miglioramento della loro performance respiratoria. In ciascun individuo normalmente i muscoli soggetti a stimolazione continua, riducono nel tempo la propria risposta, cioè desensibilizzano. La nostra ipotesi è che la um-PEA, associato alla terapia standard, renda il recettore dell’acetilcolina più funzionale potenziando conseguentemente la contrazione di alcuni tipi di muscoli e in particolare migliorando il lavoro dei muscoli respiratori. Questo non significa che abbiamo trovato una terapia definitiva per la Sla, ma sicuramente il nostro studio rafforza l'ipotesi che anche il muscolo partecipi all’evoluzione della patologia suggerendo ulteriori interventi terapeutici che tengano conto anche di questo.


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