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11°Rapporto Crea: il nostro “universalismo imperfetto”. Tra spesa sanitaria in picchiata (-30% rispetto all’Ue) e famiglie impoverite che non si curano più

Presentato oggi a Roma l’XI rapporto Sanità, sui dati 2014, curato dal consorzio Crea, il gruppo di lavoro dell’Università di Tor Vergata, diretto da Federico Spandonaro. La spesa sanitaria degli ultimi anni è in picchiata. Una discesa libera che ci porta indietro come livello di finanziamento di almeno il 30% rispetto agli altri Paesi dell’Europa, per lo meno del gruppo dei 14 paesi rapportabili al nostro. Per gli esperti, il fenomeno è allarmante principalmente per la sua dinamica: «nell'ultimo decennio siamo passati da valori che sono stati anche inferiori al 18%, per poi sfiorare il 30%, con gli anni più recenti, quelli segnati dalle spending review, in cui il gap aumenta di oltre il 2% annuo (quasi il 3% fra il 2012 e il 2013)». E neppure le esigenze di risanamento della finanza pubblica sembrano più giustificare questi trend, spiegano: «malgrado la stagnazione del Pil, l'impegno degli italiani per la propria salute rimane sotto il 9% (tendendo a ridursi ancora), mentre EU14 ha ormai superato il 10% (differenza che è in percentuale rilevante ma ancora di più in termini nominali: e ricordiamo che in EU14, insieme ai Paesi più ricchi, abbiamo anche Grecia, Portogallo e Spagna, e quindi lo scarto dipende, e appare inferiore, anche per effetto dei minori livelli di spesa di questi ultimi Paesi)».

Dunque, a cosa sono serviti i sacrifici degli ultimi anni? A pagare il conto di questa situazione le famiglie, soprattutto del ceto medio, e delle “solite” Regioni in difficoltà. Per fotografare efficacemente l’impatto della situazione, il Crea ha elaborato un indice di equità, calcolato sulla percentuale di popolazione che rinuncia alle cure, la percentuale di famiglie impoverite a causa della spesa sociosanitaria sostenuta direttamente (out of pocket) dai cittadini e la quantità di spese “catastrofiche”, ossia improvvise ed elevate. Il quadro che ne viene fuori è di meno famiglie che sono andate in “bancarotta” per le cure sanitarie, ma per il solo fatto di aver rinunciato alle cure. Per 2,7 milioni di italiani il problema della salute è stato rinviato a tempi migliori, lasciando perdere pillole e dottori. E la situazione non è in miglioramento, visto che è in crescita costante la percentuale di chi paga di tasca propria (almeno 1,6 milioni nel 2013 e +14,5% nel 2014) per farmaci, visite ed esami diagnostici.

E per completare il quadro, il Crea punta il dito su un aspetto molto trascurato: il risanamento finanziario della sanità è pesato sui cittadini anche dal punto fiscale, penalizzando nei fatti quelli che risiedono nelle Regioni che non riescono a mantenere l'equilibrio finanziario del Ssn. Per questo non appare affatto casuale che la quasi totalità delle Regioni sottoposte a Piano di rientro (e in alcuni casi, come il Lazio, con i deficit più elevati) siano anche quelle in cui si osserva la maggior pressione tributaria locale tanto in termini di addizionale regionale Irpef che di Irap.

Ma guai a pensare che il team guidato da Spandonaro voglia salire sul carro di chi (e sono tanti in questi mesi) ha preso posizioni forti contro il federalismo degli anni 2000. Scrive infatti il professore: «Vorremmo, in altri termini, evitare interpretazioni che possano far pensare ad una adesione alla posizione, che si tramuta facilmente in una sterile deriva antifederalista, per cui il vero attentato all'Universalismo risiede nella creazione di 21 sistemi sanitari regionali, la cui diversità, effetto degli “egoismi” e delle “inefficienze” locali, genererebbe di per sé grave nocumento all'Universalismo e al diritto dei cittadini alla tutela della salute. Posizione che non possiamo condividere di fronte all'evidenza che gli obiettivi del federalismo, primo fra tutti quello della responsabilizzazione finanziaria regionale, ma anche quello della razionalizzazione dell'offerta, sono stati in larga parte raggiunti: e anzi, è proprio in alcuni nodi irrisolti a livello centrale che risiedono, a nostro parere, rischi di tenuta del sistema. In continuità con i precedenti Rapporti Sanità, sposiamo la tesi per cui la complessità (intrinseca nel settore sanitario) è naturalmente permeata di fattori di “diversità”, che non è corretto combattere per “ragioni di principio”; sono infatti enzimi essenziali per una evoluzione del sistema, purché adeguatamente governati».

E per chiudere, il Crea scoperchia un altro il pentolone: la lenta introduzione nel nostro sistema delle terapie approvate a livello europeo dall’Ema. Anche in questo ambito arranchiamo dietro ai 5 paesi top dell’Ue. Il consumo in Italia dei medicinali approvati da Ema (European Medicines Agency) negli ultimi 5 anni (2009-2014) è inferiore in media del 38,4% rispetto a quelli medi di Francia, Germania, Spagna e Regno Unito. La differenza è appunto causata dal ritardo effettivo di accesso al mercato, apprezzabile osservando che per i prodotti approvati più di recente (2014) la mediana di consumo in Italia è inferiore del 91,2% rispetto ai Paesi considerati; scendendo poi progressivamente, ma rimanendo intorno al 20% in meno, ancora a distanza di 5 anni.

Al di là di ogni aspetto resta un problema di fondo: la miopia dei politici, lo sguardo corto focalizzato sul tema dell’inefficienza. «Finché rimarrà in cima all'agenda politica il tema dell'inefficienza difficilmente si determinerà un incentivo al vero cambiamento: posizione assolutamente miope in base ai dati disponibili, ma certamente dominante. Si tratta di una idea che permea la cultura politica (e in parte tecnica) del Paese, tant'è che non c'è anno (o finanziaria o legge di stabilità che sia) in cui non fioriscano i rumors, con relative smentite, di nuovi tagli al finanziamento della Sanità pubblica; ex post duole poi ammettere che per lo più i rumors “vincono” sulle smentite, e qualche taglio si verifica sempre, ovviamente sempre “tecnicamente” giustificato dalla riduzione degli sprechi» si duole Spandonaro.

E per questo conclude spiegando le ragioni del titolo e della riflessione di fondo di quest’ultimo Report: l’universalismo imperfetto: «Le promesse di mantenimento del finanziamento (da ultimo nel Patto della Salute), sono, anno dopo anno, smentite dai fatti, come anche quelle di non toccare i settori che più sono stati oggetto di interventi, prima di tutto il farmaceutico.
Questo approccio non sembra essere più sostenibile, sia perché ha effetti non trascurabili tanto sul sistema sanitario, quanto su quello industriale, sia perché i dati dicono che non è questa la vera priorità. Quello sin qui realizzato è un Universalismo non omogeneo, crescentemente diseguale, e che dopo oltre 30 anni è forse doveroso chiedersi se non dipenda anche da qualche elemento di obsolescenza del disegno originario».



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