Lavoro e professione

Allarme Fimmg: «Oltre un milione di italiani senza medico di base». Cosi le Asl chiudono le porte a pendolari e lavoratori in nero

di Rosanna Magnano

Il medico di base per almeno un milione di italiani è diventato una chimera. Le Asl stringono la cinghia e la burocrazia si irrigidisce. Accanendosi soprattutto contro chi deve già fare i conti con mille difficoltà. A ricevere un secco no dagli sportelli delle Aziende sanitarie sono infatti spesso pendolari che lasciano le metropoli per trasferirsi in comuni dell'hinterland dove la vita costa meno, o magari lavoratori in nero. A lanciare l’allarme è la Fimmg, la Federazione dei medici di famiglia.

«Purtroppo in tempi di bilanci magri - spiega in una nota Giacomo Milillo, segretario nazionale Fimmg - le Asl non vogliono accollarsi nuovi oneri e così respingono le richieste di chi chiede il cambio del medico di famiglia e non è in grado di mostrare o un contratto di lavoro, almeno a tempo determinato, o l'iscrizione all'Università o ad altri corsi di studio».

E il cambio di residenza non basta più. «E così chi è costretto a lasciare il proprio paese o la sua città per trovare un lavoro, sia pure in nero - continua Milillo - si ritrova con la doppia beffa di non essere garantito da un punto di vista previdenziale da un lato e da quello sanitario dall'altro».

L’aggravio sul portafoglio
Il risultato è che il cittadino deve pagare le spese sanitarie di tasca propria. «In questo modo -prosegue Milillo - chi ha bisogno del medico di famiglia anche per una semplice prescrizione è costretto a pagare la visita 16 euro, che aggiunti al maxi ticket di 10 euro per la ricetta su visite specialistiche e analisi e a quelli che gravano sulle singole prestazioni fanno un conto spesso più salato di quello che si pagherebbe rivolgendosi direttamente al privato».

E come spesso accade, si rischia di innescare la più ingiusta delle «guerre tra poveri». La Fimmg sottolinea infatti il paradosso che si realizza sulla pelle di questi cittadini italiani, trattati ben peggio degli immigrati privi di permesso di soggiorno, che in Italia hanno giustamente diritto non solo a ricoveri e accessi al pronto soccorso ma anche agli ambulatori che, sotto l'acronimo “Stp”, in ospedali ed Asl assistono gli “stranieri temporaneamente presenti”.

«Un atto umanitario che dovrebbe contraddistinguerci per civiltà - sottolinea il segretario nazionale Fimmg - se lo stesso trattamento fosse riservato anche a quegli italiani costretti a cambiare città per lavorare in nero o solo per risparmiare».

Italiani che precipitano in una «zona grigia», che spesso rinunciano a curarsi e finiscono per ricorrere al Pronto soccorso quando il problema diventa ormai acuto, affollando così le corsie degli ospedali.

Quegli italiani spinti ai margini dalla crisi economica
I numeri elaborati dalla Fimmg sono di tutto rilievo. Ben più di un lavoratore su dieci infatti è privo di contratto: secondo l'Istat su 24,3 milioni di lavoratori ben 3 appartengono al mondo del sommerso, oltre il 12% della forza lavoro complessiva. E quella che si riesce a misurare è solo la punta dell’iceberg.

Non solo. La crisi economica che ha colpito soprattutto le regioni del Sud ha dato nuova forza alla migrazione interna: solo nel 2012 sono stati 1,5 mln gli italiani che hanno lasciato il proprio comune di residenza per cercare fortuna altrove. E di questi almeno un milione lavora in nero. Ovviamente senza un medico di famiglia.

Poi c'è il fenomeno dei pendolari tra grandi città e piccoli comuni. «Cambiata la residenza – spiega Milillo- la Asl di origine cancella però automaticamente il lavoratore pendolare dall'elenco dei suoi assistiti e, quindi, gli vieta l'accesso al suo medico di famiglia. Il problema è che molti non sanno che farsene di un nuovo medico in un Comune dove risiedono solo per dormire e così finiscono per restare senza assistenza, anche se molti di noi continuano a riceverli lo stesso anche se non sono più iscritti nel proprio elenco e, quindi, a titolo gratuito».

«In questa condizione - dichiara Maria Carongiu, responsabile della Fimmg Lazio, che ha monitorato il fenomeno - sarebbero almeno 50mila assistiti che oggi non risultano iscritti né nell'elenco nazionale né in quelli regionali».

La soluzione parziale della ricetta elettronica
Ad ovviare sia pure parzialmente il problema sarebbe la ricetta elettronica, che dovrebbe andare a regime il prossino mese di marzo e che consentirebbe di acquistare farmaci, eseguire analisi e accertamenti diagnostici con il semplice click del nostro medico di famiglia, anche se di una regione diversa da quella nella quale ci troviamo. Ma questo solo «in via teorica», denuncia la Fimmg. Perché le regioni stanno procedendo in ordine sparso, per cui alcune si appoggiano al sistema centrale della piattaforma Sogei per la trasmissione dei dati mentre altre utilizzano un proprio sistema informatico “Ts”, ossia di tessera sanitaria elettronica.

«Tutti problemi che potrebbero essere facilmente risolti – conclude Milillo - lasciando scegliere al cittadino su base fiduciaria da quale medico farsi assistere continuativamente e da quale medico occasionalmente ricevere assistenza secondo necessità su tutto il territorio nazionale a titolo gratuito, lasciando il riconoscimento economico dovuto al medico di medicina generale alla compensazione tra Asl o Regioni, come oggi già avviene per la diagnostica e le visite specialistiche».


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