Lavoro e professione

La firma della pre intesa sul comparto lascia in sospeso il nodo operatori socio sanitari

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Nell’articolo del 16 giugno sulla Preintesa della Sanità , segnalavo, tra gli altri aspetti, che nel Ccnl appena rinnovato non viene affrontata la questione degli operatori sociosanitari (vedi dichiarazione congiunta n. 6). Ribadisco che il problema non è stato risolto e che le aspettative di questo personale non credo che siano state realizzate. Tuttavia, nel testo contrattuale è presente un passaggio che potrebbe indurre a pensare il contrario, cioè che gli operatori socio sanitari abbiano ottenuto quello che, plausibilmente, in parte volevano. Non è così e cercherò di dimostrarlo. Come detto più volte, con l’istituzione nel luglio 2021 del ruolo sociosanitario, la domanda inevitabile all’epoca fu quale fosse la ricaduta concreta della comparsa del nuovo quinto ruolo. È ovvio che le attese dei 56.000 operatori fossero di natura retributiva - oltre che professionale e organizzativa – e le risposte, in tal senso, non poteva che fornirle il rinnovo del Ccnl.
Il passaggio cui mi riferivo è contenuto nel secondo comma dell’art. 21 ed è opportuno riportarlo integralmente: "Ai soli fini dell’applicazione del presente articolo, gli operatori socio sanitari che, a seguito della progressione tra aree, accedono all’area degli assistenti, acquisiscono la denominazione di 'operatore socio sanitario senior'. La denominazione di 'operatore socio sanitario senior' è acquisibile solo a seguito della progressione, in prima applicazione, del presente articolo". In pratica, si dice che non è stato possibile trovare una soluzione strutturale e completa per la riclassificazione degli Os ma che i medesimi possono, in ogni caso, fruire della progressione tra Aree. Vediamo innanzitutto la morfologia contrattuale della norma poi i contenuti operativi. Queste cinque righe sono in aperta contraddizione con la dichiarazione congiunta n. 6 ma anche con l’Allegato A, laddove nell’Area degli assistenti non viene previsto alcun profilo che possa riferirsi all’Operatore sociosanitario senior.
Passando ai contenuti, si può rilevare che:
• il comma 1 del medesimo art. 21 ipotizza che le aziende “rilevino la necessità di copertura di specifici profili”, e risulta arduo immaginare quali possano essere le necessità di utilizzare sul campo gli stessi operatori che non cambierebbero mansioni e responsabilità – non declinate da nessuna parte - ma acquisirebbero soltanto la "denominazione" di senior;
• nella clausola si parla di "denominazione", in senso decisamente atecnico per aggirare, si presume, il divieto per il Ccnl di istituire figure nell’area socio sanitaria ai sensi dell’art. 3-octies, comma 5, del dlgs 502/1992 (introdotto dall’art. 3 del d.lgs. 229/1999);
• poiché lo stesso art. 21 premette "nell’ambito di propri piani triennali dei fabbisogni", la eventuale progressione deve, per legge, essere limitata a non più del 50 per cento delle posizioni disponibili destinando le percentuale residua all'accesso dall'esterno, mentre la clausola in questione con la parola "solo" sancisce formalmente l’esclusione dell’accesso dall’esterno per l’Oss senior, circostanza che, a mio parere, viola l’art. 52, comma 1-bis del d.lgs. 165/2001.
Provo, allora, a ipotizzare ciò che è accaduto, visto che la questione degli Oss costituiva il vero nodo politico per la chiusura del contratto. In sede di revisione dell’ordinamento che portasse ad una nuova classificazione del personale, la soluzione più logica sarebbe stata quella di un passaggio completo degli Oss nella ex categoria C (oggi Area degli assistenti) a ragione della loro evoluzione professionale, delle esigenze delle aziende sanitarie e dell’affidamento generato negli interessati dall’istituzione del ruolo sociosanitario. L’operazione non sarebbe stata certamente nuova perché nel 2001 tutti i profili infermieristici e tecnico-sanitari passarono in categoria D. Ma all’epoca la transizione professionale di quasi 400.000 lavoratori era giustificata soprattutto dall’evoluzione del loro percorso professionale sancito dalla legge 42/1999 che aveva visto nascere nuove professioni sanitarie e aveva elevato la scolarità richiesta a livello universitario. Questo non è accaduto per gli Oss per i quali si inverte la causa con l’effetto. Infatti, il tortuoso iter che deve realizzare la nascita di una nuova figura sociosanitaria è coperto da riserva di legge e prescrive che le figure professionali operanti nell'area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria, da formare in corsi a cura delle regioni, sono individuate con regolamento del ministro della Sanità di concerto con il ministro per la solidarietà sociale, sentita la Conferenza permanente.
Ovviamente le difficoltà erano anche finanziarie perché un eventuale reinquadramento di tutti i 56.000 operatori avrebbe comportato un impegno finanziario, a spanne, di circa 80 mln. Considerato che l’investimento aggiuntivo per la classificazione stanziato dall’Atto di indirizzo integrativo era complessivamente di 127 mln, è giocoforza concludere che l’operazione avrebbe assorbito gran parte delle risorse. Lo stallo sugli Oss ha contribuito senz’altro al ritardo della stipula, in ciò supportato dal mancato arrivo dell’Atto integrativo del Comitato di settore. Una volta però che le Regioni il 6 giugno scorso hanno adottato le direttive integrative, il contratto "doveva" essere chiuso perché questa era la volontà di tutti: Ministero della salute, Funzione pubblica, Aran, controparti sindacali. Ma rimaneva irrisolta la questione degli Oss le cui difficoltà sono rappresentate con chiarezza e onestà nella ricordata dichiarazione congiunta n. 6. Tuttavia qualcosa ancora non quadrava e all’ultimo momento è stata inserita la precisazione nel comma 2 dell’art. 21. Dico "all’ultimo momento" perché nel testo oggetto di esame presentato inizialmente nelle ultime riunioni conclusive di giugno la precisazione in questione semplicemente non c’era. La impellente volontà di chiudere e la necessità di dire comunque qualcosa sugli (o agli) Oss ha prodotto un disallineamento evidente perché chiunque legga senza riserve mentali il testo del Ccnl non può in alcun modo capire come si possa conciliare il periodo aggiunto nell’art. 21 con l’Allegato A e con la dichiarazione congiunta n. 6. Tant’è, e le tecniche di negoziazione e le reciproche esigenze delle controparti ci hanno abituato nel tempo a ben altro. Resta però il fatto che sarà ben difficile che qualche azienda si azzarderà a effettuare una progressione applicando la clausola di cui si parla. Il tempo che passa per giungere alla firma definitiva si spera serva a completare il percorso per l’istituzione del nuovo profilo che – sarà anche lungo, burocratico e indietro con le esigenza organizzative – ma è l’unica strada per risolvere la questione.


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