Medicina e ricerca

Affrontare l’emergenza ictus. Ancora troppe disparità nel Paese

di Leandro Provinciali (presidente della Società italiana di Neurologia - direttore Clinica neurologica Ospedali Riuniti di Ancona) Danilo Toni (direttore Unità di Trattamento neurovascolare Policlinico Umberto I Roma)

Seguendo le indicazioni programmatorie, la progettazione di risposte organizzative ai bisogni assistenziali in caso di ictus sarebbero agevoli, nel nostro Paese. Questo in teoria, perché, sulla base dei dati disponibili, è accertato che un accidente cerebrovascolare colpisce circa 220 pazienti ogni 100mila abitanti ogni anno, con una mortalità del 20% circa ed esiti invalidanti in tre quarti dei soggetti sopravvissuti. Questo significa che circa 130mila pazienti subiscono un ictus ogni anno e che 6-700mila sopportano le conseguenze di tale condizione per il resto della loro vita. Se si calcolano i costi diretti e indiretti di tali eventi clinici, indubbiamente elevati per le conseguenze della disabilità e l’età spesso avanzata, sarebbe logico aspettarsi efficienti soluzioni operative, anche sulla base delle indicazioni fornite dall’Istituto superiore di Sanità. Oltre a ciò, appare evidente la crescita delle aspettative di intervento, in maniera analoga alle risposte offerte in condizioni analoghe, come quelle correlate all’infarto del miocardio. Purtroppo iniziative uniformi ed efficienti in questa direzione non sono state realizzate, nonostante l’esempio di altre nazioni europee e gli inconfutabili requisiti scientifici a supporto della validità di alcuni approcci di organizzazione delle cure e dell’assistenza. Alcuni fattori hanno dimostrato la possibilità di aumentare sopravvivenza e ridurre il costo umano e sociale di tali malattie: il ricovero in strutture dedicate, quali le unità neurovascolari; la possibilità di ricanalizzare i vasi ostruiti con interventi sistemici o con approccio endovascolare; l’applicazione di strumenti di prevenzione in relazione alle caratteristiche di rischio del paziente; un approccio “tagliato su misura” per la neuroriabilitazione. Oltre a ciò, è ampiamente documentato che a un maggiore impegno nella fase iniziale della cura, esercitato nel setting neurovascolare più vicino, corrisponde un notevole risparmio nelle fasi avanzate della malattia e nei suoi esiti, con un bilancio favorevole nei costi assistenziali dell’ictus ischemico od emorragico.

La situazione italiana appare eterogenea e, per certi versi, incomprensibile
A fronte d’indicazioni inoppugnabili della letteratura scientifica e di raccomandazioni forti del ministero della Salute, alcune Regioni hanno elaborato un piano dettagliato per affrontare l’ictus o lo stanno definendo, molte altre hanno formulato solo criteri generali di approccio, talora confondendo le competenze necessarie al trattamento puntuale ed efficace della malattia cerebrovascolare acuta. In effetti, è indiscutibile che l’ictus dovuto a occlusione di un vaso arterioso richieda un approccio immediato con possibilità di trattamento efficace solo entro le prime 3-4 ore dalla comparsa della sintomatologia; è altresì documentato che l’assistenza offerta da personale idoneo riduce le complicanze e attenua il peso delle altre condizioni morbose presenti prima dell’ictus; infine, è accertato che un percorso integrato mirato al recupero funzionale favorisce il contenimento dei danni e consente di identificare chi può trarre vantaggio dall’assistenza presso le strutture di neuroriabilitazione previste dal recente decreto della ministra Lorenzin. Soluzioni gestionali basate su analoghe dimostrazioni di efficacia sono ormai realizzate con successo nell’infarto del miocardio, che è ovunque trattato esclusivamente presso le Unità coronariche, diffuse omogeneamente in tutto il Paese, gestite da cardiologi competenti nella fase di stabilizzazione e di recupero, capaci di offrire garanzie di riduzione della mortalità e delle limitazioni nella vita futura. Perché non fare questo anche per le malattie vascolari del cervello, in ragione di diffusione e conseguenze non certo inferiori a quelle del cuore?

Differenze territoriali
Anche un principio di uguaglianza sociale induce a porre presto rimedio alla carenza di strutture idonee in alcune sedi: perché in alcune Regioni un cittadino colpito da ictus può contare sul trasporto immediato in centri competenti e in altri luoghi deve far riferimento a strutture dedicate all’urgenza, ma senza le valenze professionali necessarie alla cura dell’ictus, dalla fase acuta a quella del recupero?

Alcuni direttori generali delle aziende sanitarie hanno interpretato correttamente il mutamento delle esigenze assistenziali e offerto risposte adeguate a “parità di costi”, modificando i vecchi modelli dell’organizzazione sanitaria ed esaltando le competenze fondamentali per fornire risposte soddisfacenti. Il mondo delle urgenze dovute a lesione acuta del Sistema nervoso può rappresentare un efficace banco di prova per i nuovi criteri gestionali e per l’integrazione fra ospedale e territorio: nel percorso assistenziale dell’ictus e di altre malattie neurologiche a esordio acuto, una risposta adeguata fin dalle prime ore consente di risparmiare risorse assistenziali dedicate alla fase più tardiva di malattia; questa considerazione rende evidente come processi virtuosi non comportino globalmente incremento di spesa, se si considera l’intera filiera assistenziale, ma sono in grado di migliorare gli esiti individuali e sociali. Le cure destinate all’ictus fin dall’emergenza dimostrano come possa ritenersi conclusa l’epoca del ”nichilismo terapeutico” che aveva caratterizzato molte malattie neurologiche nei decenni passati; l’evoluzione di eventi drammatici che interessano il Sistema nervoso, non dipende oggi solo da un destino più o meno crudele, ma anche e soprattutto dalla qualità dell’organizzazione assistenziale e dall’uso illuminato delle limitate risorse sanitarie attualmente disponibili.

Leandro Provinciali

© RIPRODUZIONE RISERVATA