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Ecco il Contratto quadro per la definizione dei comparti e delle aree dirigenziali nella Pa. Cosmed: «Adesso può ripartire la stagione contrattuale»

di Rosanna Magnano

Si sciolgono alle prime luci dell’alba le tensioni sui nuovi comparti e aree della Pubblica amministrazione. La trattativa tra sindacati e Aran si è chiusa alle 4:30 di questa mattina ed ecco finalmente il testo in 12 articoli dell’«Iipotesi di contratto collettivo quadro per la definizione dei comparti di contrattazione e delle relative aree dirigenziali per il triennio 2016-18». I comparti passano da 11 a 4: Funzioni centrali, Funzioni locali, Istruzione e ricerca, Sanità. Resta fuori dalle aggregazioni la Presidenza del Consiglio, una sorta di quinto comparto. Un passo fondamentale dal momento che si tratta dell’adempimento preliminare per la riapertura di tutti i contratti di categoria, dopo sette anni di blocco.

«Stanotte chiuso accordo su riduzione a 4 comparti #PA. Sistema contrattuale più semplice e innovativo per lavoratori pubblici e Paese». È il commento della ministra per la Pubblica amministrazione Marianna Madia su Twitter all'intesa firmata all'Aran.

Nell’area dirigenziale Sanità, che resta autonoma, rientrano la dirigenza medica, veterinaria e sanitaria delle amministrazioni del comparto Sanità, compresi i dirigenti delle professioni sanitarie (art. 6 legge 10 agosto 2000, n. 251). La dirigenza sanitaria non comprenderà però i dirigenti amministrativi, tecnici e professionali che confluiranno nell'area Funzioni locali.

Blindato il perimetro delle professioni. «Per dirigenti delle professioni sanitarie di cui alla legge 251/2000 - sottolinea una nota a verbale della Cosmed - si intendono, nel pieno rispetto delle vigenti disposizioni di legge e dei Contratti collettivi nazionali di lavoro, esclusivamente i vincitori di specifici concorsi dirigenziali svolti da soggetti in possesso dei requisiti di studio previsti dalla normativa per l'accesso alla dirigenza».

Il principale risultato ottenuto, sottolinea una nota della stessa Cosmed, è «l'area autonoma della Dirigenza medica e sanitaria» che disporrà «di un proprio contratto distinto». Una «richiesta fondamentale della Cosmed e di tutte le sigle che la compongono con il riconoscimento della specificità della dirigenza medica e sanitaria, una lunga battaglia parlamentare e sindacale finalmente conclusasi positivamente. Continueranno a far parte del contratto della dirigenza sanitaria del Ssn anche i medici e i dirigenti sanitari delle Arpa». Ossia i camici bianchi che operano all’interno delle agenzie regionali per la protezione dell’ambiente.

«La dirigenza delle professioni sanitarie - continua la Cosmed - è riconfermata nella dirigenza sanitaria nei termini delle disposizioni di legge e dell'ultimo contratto normativo della dirigenza sanitaria. Con nota a verbale Cosmed ha ribadito che in nessun modo l'accordo siglato può costituire ampliamento del perimetro di questa componente rispetto al dettato normativo e contrattuale vigente. Viceversa la dirigenza tecnica, professionale ed amministrativa del Ssn trova adeguata collocazione nell'area della dirigenza delle Regioni e delle autonomie locali; le sigle della dirigenza amministrativa di Regioni e Ssn mantengono la loro rappresentatività e tutte le loro prerogative negoziali in uno specifico e distinto contratto».

È stata infine ribadita la collocazione nelle aree dirigenziali dei medici e dei sanitari del ministero della Salute e degli enti pubblici (Aifa, Cri) nonché dei medici e dei sanitari che operano negli Enti pubblici non economici (Inail e Inps): tutti questi soggetti faranno parte della dirigenza delle Funzioni Centrali.

«È stata scongiurata la paralisi negoziale ed è prevalso il senso di responsabilità.
Adesso - commenta il segretario generale della Confederazione, Giorgio Cavallero - non ci sono più alibi né ostacoli normativi per la riapertura della stagione negoziale, fermo restando la necessità di adeguare le disponibilità economiche per i rinnovi contrattuali». I finanziamenti sono infatti appena una goccia nell’oceano e per le sigle sindacali i 300 milioni di euro messi in campo dalla legge di stabilità (a cui si aggiungono le risorse che Regioni ed enti locali devono trovare nei propri bilanci) non sono sufficienti nemmeno per avviare il confronto.

La lunga maratona notturna intanto è servita anche per trovare la quadra nella nuova aritmetica della rappresentanza sindacale, che rischia di lasciare per strada le sigle minori, dovendo rispettare le soglie previste dalla legge. La riforma Brunetta apre infatti l’ingresso ai tavoli solo per i sindacati più grandi (per essere rappresentativi bisogna raggiungere almeno il 5% nella media di voti e deleghe). Il compromesso trovato è quello di un periodo ponte. Una finestra di 30 giorni entro cui le organizzazioni sindacali possono «dar vita mediante fusione, affiliazione o in altra forma, a una nuova aggregazione associativa cui imputare le deleghe delle quali risultino titolari, purché il nuovo soggetto succeda effettivamente nella titolarità delle deleghe che ad esso vengono imputate». In via eccezionale, la ratifica da parte degli organi statutariamente preposti può essere inviata all’Aran «entro e non oltre il termine perentorio del 31 dicembre 2017».

Per chi resta fuori dalle danze, c’è ancora una ciambella di salvataggio. In vista della tornata contrattuale 2016-2018 è infatti previsto una sorta di «diritto di tribuna» per le mini-sigle che non hanno proceduto ad allearsi con altre. Ma si tratta solo della possibilità di essere “presenti alle trattative”. «Le sigle rappresentative di una vecchia area conservano la presenza al contratto nazionale ma perdono le prerogative sindacali. Un salvacondotto per le sigle minori che eviterà una frattura tra le deleghe ricevute dalle Rsu e l’attuazione delle nuove aree», spiega Cavallero.

Un primo passo verso la normalità, stop al precariato
L’auspicio della Cosmed è che si ritorni alla normalità dopo sette anni di stallo. «L’accordo quadro è una condizione necessaria per riaprire i contratti di lavoro - ribadisce Cavallero - e parlare di regole e risorse. C’è un calo di popolazione nel pubblico impiego, ma questo non può essere un pretesto per dirottare risorse altrove. Bisogna reinvestire in sanità, sia in termini di organici, sia in termini di tecnologie».

E soprattutto rimettere ordine nella giungla del precariato sanitario, per impedire la formazione di nuove sacche. «Bisogna ripartire dalla legge Biagi del 2003 - conclude Cavallero- che già prevedeva la necessità di ridefinire le possibilità di lavoro flessibile più idonee al settore. Porre un deciso stop attraverso l’art. 17 della legge Madia. Ed eliminare tutte quelle forme contrattuali strumentali di lavoro subordinato, come cocopro, cococo e forme paracooperative, incompatibili con la libera professione. Tutti escamotage mirati a risparmiare sui contributi previdenziali. Il secondo passo è quello della trasformazione degli attuali contratti atipici in contratti a tempo determinato e poi la stabilizzazione con un provvedimento legislativo ad hoc, seguendo il modello della Legge 401 del 2000».


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